L’ultima bozza del Decreto ministeriale di modifica del Piano nazionale di ripartizione delle frequenze (PNRF) sta facendo discutere tutti i soggetti interessati alla nuova allocazione dei servizi.
Tiene banco ovviamente l’attribuzione della banda 790-862 Mhz, precedentemente dedicata alla radiodiffusione televisiva, ai servizi mobili di comunicazione elettronica: tradotto, il passaggio degli attuali canali televisivi dal 61 al 69 all’uso esclusivo degli operatori di telecomunicazioni per l’implementazione delle tecnologie mobili di più recente generazione (UMTS e LTE). Il tutto in vista dell’asta per l’assegnazione di questa banda di frequenze che, secondo la Legge di stabilità 2011, dovrebbe svolgersi entro settembre di quest’anno e fruttare allo Stato la notevole cifra di 2,4 miliardi di euro. A margine però della partita sulle ex frequenze televisive, se ne gioca un’altra imperniata sulla banda 2500-2690 Mhz: una porzione di spettro che rappresenta l’allocazione elettiva del sistema di telefonia mobile di quarta generazione LTE, nato come servizio di trasmissione dati ad elevata velocità in aree di copertura limitata, tipicamente nei centri urbani. Tutte le telco stanno effettuando considerevoli investimenti su questa tecnologia, con sperimentazioni molto avanzate e piani di implementazione che sono prossimi all’avvio. In realtà però solo 55 Mhz dei 190 potenzialmente disponibili sono attualmente utilizzabili, giacchè sulla banda 2520-2655 Mhz permane come servizio primario quello fisso del Ministero della Difesa. Nulla dice in proposito la nuova bozza del PNRF, per cui se ne deduce che i nuovi servizi dovranno attendere un tempo indefinito per avere il via libera dallo Stato. Sullo sfondo si agitano conflitti interministeriali sulla contropartita da cedere in cambio delle frequenze. Così, gli operatori di telecomunicazioni colgono immediatamente la palla al balzo e minacciano di disertare la gara per la gamma UHF. L’evento appare però improbabile, visto che le caratteristiche delle porzioni di spettro radio in gioco sono nettamente diverse, così come assai differenti saranno i servizi che vi verranno allocati: gli 800 Mhz servono come il pane alle telco per dare respiro all’attuale rete cellulare ormai soffocata da volumi di traffico sempre più elevati (in virtù anche dei collegamenti mobili a internet). E ciò al di là della disponibilità più o meno dilazionata dei 2,6 Ghz, per i quali sarà comunque necessaria un’evoluzione del mercato dei dispositivi mobili, che per il momento ancora non supportano LTE e le relative applicazioni. In realtà probabilmente siamo di fronte a un gioco al ribasso, che approfitta delle evidenti condizioni di difficoltà in cui il governo versa sul fronte della gestione dello spettro. Tanto più che il Piano ipotizza la liberazione delle frequenze ex televisive non prima del 2013, a fronte di un’asta che si dovrebbe concludere un anno prima. Stretto tra le pressioni delle emittenti locali (che hanno intenzione di dare battaglia sui canali “in cessione”), la necessità di predisporre senza ulteriori indugi il beauty contest per il dividendo interno del DTT e i tempi ristrettissimi per l’asta delle telco, l’esecutivo ha pochi margini di manovra. La contropartita per gli operatori potrebbe materializzarsi in un esborso ben minore di quello previsto, e/o in concessioni sul piano dei limiti di inquinamento elettromagnetico, tutte ipotesi di cui si parla “sottotraccia” da tempo. In entrambi i casi, sarebbe ancora una volta la collettività a pagare l’approssimazione della politica. (E.D. per NL)