La Camera dei Deputati ha approvato (267 voti a favore, 136 contrari) in via definitiva la riforma del codice penale, di procedura penale e dell’ordinamento penitenziario.
La legge contiene una lunga serie di interventi che incidono su diversi aspetti dell’ordinamento penale, con un intento dichiarato di garantismo e di snellimento procedurale, ma che – almeno ad una prima lettura – lasciano qualche dubbio sull’organicità ed effettività nel perseguire gli obiettivi preposti.
Dal punto di vista sostanziale, gli interventi di maggior rilievo sono l’introduzione dell’estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie nei reati sottoposti a querela di parte e la riforma del regime della prescrizione. La legge appena varata introduce infatti l’art. 162 ter c.p., rubricato appunto “Estinzione del reato per condotte riparatorie” e stabilisce che laddove si sia in presenza di un reato la cui procedibilità è sottoposta a querela soggetta a remissione, il giudice può dichiarare estinto il reato se “l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato”. Essendo questa una norma che riforma in melius la condizione dell’imputato, è una delle poche disposizioni del testo di legge che si applica retroattivamente, cioè anche ai processi già in corso, per i quali non si applica il termine dell’apertura del dibattimento in primo grado, ma è possibile fissare, all’interno del procedimento, un termine di 60 giorni in cui l’imputato può adempiere a risarcimento e riparazione ai fini dell’estinzione del reato.
Sul punto dell’istituto della prescrizione la riforma è stata molto discussa, in quanto comporta un allungamento notevole di tutti i termini, intervenendo sulla decorrenza, la sospensione e l’interruzione. Aggiungendo un comma all’art 158 c.p., la legge stabilisce che per reati gravi ex art 392 comma 1 bis c.p. perpetrati in danno di minori (ad esempio maltrattamenti in famiglia, tratta di persone, sfruttamento e violenza sessuale) la decorrenza dei termini di prescrizione inizia al compimento del diciottesimo anno di età della vittima oppure, se l’azione penale viene esercitata prima di quel momento, la decorrenza si ha dal momento dell’acquisizione della notizia di reato.
La riforma introduce poi una nuova ipotesi di sospensione e una di interruzione della prescrizione: in caso di condanna in primo o secondo grado, il termine di prescrizione resta sospeso fino al deposito della sentenza del grado successivo, per un tempo massimo di 1 anno e 6 mesi; l’interrogatorio reso alla polizia giudiziaria su delega del P.M. interrompe la prescrizione. Per effetto di queste tre nuove disposizioni, la prescrizione si allunga notevolmente: l’intenzione è certamente quella di evitare che i colpevoli sfuggano a giuste sanzioni, ma si causa altresì una situazione di pesante incertezza per tutti gli imputati, dunque è lecito chiedersi se sia questo il modo migliore per realizzare i principi di garantismo e certezza della pena.
Sulla sostanza, la riforma introduce anche pesanti inasprimenti di pena per alcuni reati contro il patrimonio (scippo, furto in abitazione, rapina) e per il reato di scambio elettorale politico-mafioso, disposizioni che rispondono più ad una logica politico-ideologica che di sistema.
Ulteriori interventi sul codice penale sono poi demandati a successivi lavori del Governo tramite delega per la riforma del regime di procedibilità di alcuni reati, delle misure di sicurezza personali e del casellario giudiziale. Le linee guida della delega indicano che deve essere prevista la procedibilità a querela dell’offeso per i reati contro la persona puniti con sanzione pecuniaria o con la pena detentiva di massimo 4 anni, eccezion fatta per i reati di violenza privata e i delitti contro il patrimonio o nel caso in cui l’offeso è un incapace (per età o infermità); che sia rivisto il regime delle misure di sicurezza in modo che, l’effetto della somma con la pena (c.d. doppio binario) non risulti troppo pregiudizievole della libertà personale; infine che le iscrizioni nel casellario giudiziale siano adeguate alla durata della vita e alla gravità del reato.
Dal punto di vista processuale gli aspetti oggetto di riforma sono innumerevoli; tra le novità più salienti c’è la disciplina delle indagini preliminari, l’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere e la delega per la riforma delle intercettazioni.
L’introduzione del comma 3 bis all’art. 407 c.p.p. fa si che “il pubblico ministero è tenuto a esercitare l’azione penale o a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini” nel tentativo di eliminare i tempi morti tra indagini e processo. Per far si che non sia una norma meramente indicativa, il legislatore rende la prescrizione effettiva prevedendo l’avocazione delle indagini preliminari in capo al procuratore generale se il pubblico ministero non esercita l’azione penale nei nuovi termini (così sancisce la riformulazione del primo comma dell’art 412 c.p.p.). Queste disposizioni hanno sollevato le rimostranze della magistratura che ritiene plausibile il rischio di ingolfamento delle procedure (l’Associazione nazionale magistrati parla addirittura di “collasso delle Procure”) nonché giudica non congrui i termini poiché rischiano di vanificare le indagini più delicate: è vero che per i delitti di mafia e terrorismo il termine per l’esercizio dell’azione penale è prolungato a 15 mesi, ma per altri reati come quelli di corruzione o a rischio prescrizione, potrebbe sussistere un problema di difetto di tutela.
Sempre in punto di indagini, la legge contiene una delega al Governo (dallo strettissimo termine di 3 mesi dall’entrata in vigore della legge in parola) per la riforma delle intercettazioni, ispirata al bilanciamento tra esigenze di giustizia e tutela della privacy. La possibilità diffusione del contenuto delle intercettazioni diventa molto più stretta: le intercettazioni ritenute non rilevanti saranno raccolte in un archivio riservato appositamente istituito, di cui il pm ha la responsabilità di garantire la riservatezza, e i difensori avranno facoltà solo di ascolto e non di copia. Vige il divieto assoluto di pubblicazione, che decade solo nel momento in cui il giudice decide quali sono le intercettazioni pertinenti da trascrivere e soltanto per queste. Per rendere effettivo il tutto, la delega prevede l’introduzione del delitto di diffusione da parte di privati delle registrazioni e riprese fraudolente con la sola finalità di recare danno alla reputazione, punito con la reclusione non superiore a 4 anni. La norma non dovrebbe però pregiudicare il lavoro dei giornalisti, vista l’espressa previsione di esclusione della punibilità quando “le registrazioni o le riprese sono utilizzate nell’ambito di un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca”. La delega per la disciplina delle intercettazioni contiene, inoltre, una disciplina già puntuale dell’utilizzo dei Trojan, cioè i malware che captano informaticamente conversazioni e dati tramite pc, smartphone e altri device, che potranno essere utilizzati in un ampio numero di casi.
Qualora le indagini conducano all’udienza preliminare e il GUP (giudice dell’udienza preliminare, ndr) si determina ad emanare sentenza di non luogo a procedere, cioè quel provvedimento meramente processuale con cui il giudice dell’udienza preliminare accerta che non ci sono elementi per proseguire con un’accusa sostenibile, l’impugnazione di detto provvedimento potrà essere impugnato non più solo per Cassazione, ma anche in appello, introducendo così un ulteriore grado di giudizio.
Le novità che riguardano le impugnazioni non si fermano alla sentenza di non luogo a procedere: la riforma introduce (o meglio, reintroduce) il c.d. “concordato dei motivi d’appello”, istituto –escluso per i reati gravi come associazione mafiosa, terrorismo, delitti sessuali e per i delinquenti abituali – in forza del quale le parti (imputato e procura) possono accordarsi sui motivi di appello e sulla pena che viene rideterminata sulla base dell’eventuale riforma della sentenza, chiedendo al giudice d’appello di aderire all’accordo sui motivi da accogliere e quelli da respingere.
La riforma è evidentemente complessa poiché tocca molti aspetti sostanziali e procedurali: per capirne portata e impatto sarà necessario attendere non solo l’applicazione concreta delle norme, ma anche il completamento necessario della disciplina che avverrà solo quando saranno compiute le deleghe conferite al Governo per la regolazione di aspetti cruciali. (V.D. per NL)