Con la sentenza 46982/07 del 18 dicembre 2007, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il supremo organo di legittimità del potere giudiziario italiano, hanno delimitato in modo inequivoco, la natura del bene giuridico tutelato e della relativa tutela processuale, dalle norme del codice penale che disciplinano i delitti contro la fede pubblica. Sebbene l’intervento della Corte, sia stato richiesto per dirimere una questione apparentemente incidentale e di mera “natura procedurale” – se cioè anche il soggetto, sulla cui posizione giuridica l’atto impugnato incide direttamente, cagionandogli in concreto un danno, soggetto che si vede quindi legittimato, in base al principio della tutela del contraddittorio, a presentare opposizione contro la richiesta di archiviazione avanzata dal giudice delle indagini preliminari – tuttavia l’organo de quo ne ha preso spunto, per delineare in maniera netta la ratio delle norme penali richiamate ed ha provveduto a ridefinire in concreto il ruolo e la portata degli atti e dell’attività dei soggetti privati interessati. La premessa argomentativa fondamentale della Corte prende le mosse da una constatazione empirica decisiva: nel previgente codice penale (Zanardelli) le falsità in atti “pubblici” e “privati” erano previste e disciplinate in apposite e distinte norme. Con l’entrata in vigore dell’attuale codice (Rocco), tali norme e la relativa classificazione sono venute meno. Ciò ha fatto si chè dottrina e giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, si spaccassero su due correnti interpretative. Un primo indirizzo interpretativo è coltivato da coloro che sostengono che il bene giuridico tutelato nelle falsità documentali sia la fede pubblica ed essa soltanto: in tal caso il privato non si troverebbe in una posizione giuridica sostanziale, tale da imporre al g.i.p. l’obbligo di comunicazione della richiesta di archiviazione, con conseguente legittimazione processuale a proporre opposizione. Alla base di questo orientamento interpretativo vi è l’idea che la “fede pubblica” debba essere giuridicamente ascritta nel novero dei cosiddetti “beni immateriali “ o a carattere collettivo, la cui titolarità fa capo all’intera collettività, genericamente ascritta e non personificata in modo alcuno; a tutti i cittadini, insomma, ed a ciascuno di essi, non uti singulus, ma uti civis. In tal caso, il danno sociale del falso si concreta e manifesta esclusivamente nella c.d. “immutatio veri”, mentre nessun rilievo,ai fini della sua liceità, assume il soggetto danneggiato in concreto dal falso il quale non essendo titolare dell’interesse protetto dalla norma incriminatrice non si può considerare persona offesa dal reato e non può proporre opposizione alla richiesta di archiviazione. Il secondo filone interpretativo si basa sul concetto di “dannosità”: esso sostiene che siamo di fronte a reati idonei a ledere anche la sfera giuridica dei soggetti nei cui confronti l’atto, il documento o la falsa dichiarazione vengono fatti valere: si tratta perciò di reati plurioffensivi e, come tali, non assimilabili ai delitti contro l’amministrazione della giustizia, previsti per tutelare l’interesse della collettività al corretto funzionamento della giurisdizione e dove l’interesse privato assume solo un rilievo riflesso e mediato. Il primo orientamento privilegia quindi la natura pubblicistica dei delitti contro la fede pubblica: quest’ultima intesa come necessità dei cittadini di contare sulla genuinità e veridicità di atti e documenti che hanno rilevanza pubblica (qui l’interesse del privato vivrebbe solo di riflesso e non gli consentirebbe di assumere la veste di persona offesa, anche se in concreto venisse danneggiato dalla falsità). Il secondo, pur non trascurando la posizione del privato, ritiene che i delitti contro la fede pubblica abbiano natura “plurioffensiva”, con la conseguenza che al privato in concreto danneggiato spettino i diritti e le facoltà previsti per la parte offesa. Di fronte a queste due posizioni la Corte, pur ammettendo che nei delitti contro la fede pubblica viene lesa la fiducia che la collettività ripone in determinati atti, simboli o documenti, ritiene possibile anche la sussistenza, se ricorrono alcuni presupposti, di un concreto danno per il privato, che quindi si vede legittimato ad esperire tutti gli strumenti processuali che gli consentono di tutelarsi.
La Corte, perciò, conclude affermando il principio di diritto che: “I delitti contro la fede pubblica tutelano anche il soggetto sulla cui concreta posizione giuridica l’atto incide direttamente, soggetto che, in tal caso, è legittimato a proporre opposizione contro la richiesta di archiviazione”.(Paolo Masneri per NL)