Roberto Conti, Magistrato in Palermo
Il Quotidiano Giuridico – Quotidiano di informazione e approfondimento giuridico
Il direttore responsabile di una pubblicazione mensile francese decideva di pubblicare un articolo nel quale si dava conto delle accuse di riciclaggio mosse da un banchiere di Lione contro un istituto svizzero dalla quale emergeva l’esistenza di un vasto giro di riciclaggio implementato da denaro proveniente da evasione di tasse e da attività criminali.
Il ramo lionese dell’istituto elvetico, sostenendo il carattere gravemente diffamatorio dell’intervista e del commento introduttivo, decideva di procedere contro l’editore ed il banchiere sostenendo peraltro che difettava l’interesse del pubblico alla conoscenza delle notizie propalate .
Il tribunal de grande instance condannava i soggetti anzidetti, ritenendo che le dichiarazioni espresso dal banchiere avevano avuto avuto carattere diffamatorio, enfitazzando peraltro gli effetti particolarmente dannosi prodotti sull’intera istituzione bancaria coinvolta.Aggiungeva ancora il giudice francese che il giornalista aveva completamente omesso di svolgere alcuna attività di verifica circa la verità delle accuse espresse dal banchiere intervistato contro l’istituto elvetico.
La condanna inflitta, peraltro non venne mai applicata per l’intervento di un’amnistia sicchè I due soggetti condannati, unitamente alla società proprietaria della testata, anch’essa condannata civilmente, furono condannati in sede civile a corrispoindere il pagamento di un euro a titolo di danni.Condanna successivamente confermata sia in grado di appello dai giudici di secondo grado che avevano ribadito la condotta in mala fede dei due ricorrenti e l’inosservanza del dovere di moderazione, che in Cassazione.
La Corte dei diritti dell’uomo alla quale si sono rivolti l’editore ed il banchiere lamentando la lesione dell’art.10 CEDU.
La Corte ha rigettato il ricorso, riconoscendo che la condanna ingflitta aveva rappresentanto un’ingerenza sul diritto garantito dall’art.10 CEDU che, però, in relazione alla vicenda concreta doveva ritenersi dotata di base lega, proporzionata e giustificata in una società democratica.
E’ stata in particolare ribadita la valenza fondamentale della libertà giornalistica quando essa si esplica nella pubblicazione di questioni che involgono interessi di carattere generale, pure ritenendo che nell’esercizio di tale diritto fondamentale il giornalista gode di margini che gli consentono un certo grado di esagerazione e di provocazione.
Ciò, peraltro, non può giustificare che il giornalista si lascia andare ad accuse gravi, peraltro osservando che la particolare notorietà e credibilità del soggetto che aveva rilasciato l’’intervista rendevano ancora più gravi i profili di responsabilità dei ricorrenti anche considerando che l’intervista aveva contemplato atti puniti dalla legge penale ancorchè nessuna autorità giudiziaria li avesse mai acclarati.
Peraltro, la Corte non ha mancato di sottolineare che il direttore responsabile della rivista, essendo un professionista operante nel mondo della stampa, doveva essere ben a conoscenza delle disposizioni legali che regolano la responsabilità giornalistica e della giurisprudenza relativa, dovendo lo stesso ricorrere, se del caso, ai consigli di giuristi specializzati.
Il giudice di Strasburgo ha pure precisato che l’introduzione all’intervista aveva travalicato il grado di provocazione ed esagerazione che caratterizza in genere l’attività gironalistica, a nulla rilevando la buona fede dell’editore.
E’ stato infine ritenuto che l’interferenza prodotta sul diritto garantito dall’art.10 CEDU dei ricorrenti poteva dunque ritenersi legittima e proporzionata.
(Corte europea dei diritti dell’Uomo Decisione, Sez. V, 05/02/2009, n. Requete no. 42117/04)