Ritrova cittadinanza nelle valutazioni dei giudici la considerazione, centrale nella cronaca giudiziaria, della figura giurisprudenziale del diritto all’oblio, ontologicamente connesso alla riservatezza dei personaggi coinvolti in procedimenti giudiziari.
La V sezione penale della Corte di Cassazione – sentenza n. 45051 del 17/07/2009 depositata lo scorso 24 novembre – è intervenuta confermando la condanna per diffamazione a mezzo stampa (aggravante compensata dalle attenuanti generiche nella statuizione in commento) di due giornalisti di un noto talk-show di approfondimento televisivo, l’uno in qualità di cronista curatore del servizio incriminato, l’altro alla stregua di conduttore responsabile dei contenuti trasmessi. Servendosi di una serie di ipotesi investigative confezionate in diretta Tv ed in prevalenza fondate su binari morti di una precedente indagine giudiziaria, i due tentavano di carpire l’attenzione dei telespettatori su di una verità differente da quella processualmente accertata. In particolare, trattando la trasmissione di un omicidio particolarmente discusso anni addietro in considerazione della notorietà del personaggio scomparso (Alberica Filo Della Torre), le ricostruzioni presentate si ritiene abbiano screditato – a parere della famiglia coinvolta nella vicenda – onore e reputazione di tutto il casato. Discostandosi dal fatto di cronaca in se per se ed appuntando l’attenzione sull’ermeneutica seguita dal Supremo Collegio, emerge un particolare caso in cui il diritto di cronaca deve essere energicamente ponderato con altri valori giuridici in ballo; infatti, una volta conclusa un’indagine e definito il relativo processo, entrerebbe in gioco il cosiddetto diritto all’oblio. In merito, il giornalista che intenda ripercorrere quelle vicende fornendo un resoconto sui ruoli processuali e fattuali ricoperti dai personaggi coinvolti, non può esimersi dal verificare accuratamente le fonti delle quali dispone ed avocarsi prerogative inquirenti al tempo già devolute agli organi procedenti. Nelle argomentazioni del giudice adito, si ritiene, infatti, che muti l’aspetto inerente l’interesse pubblico alla divulgazione della notizia quando questa non sia più attuale; proprio in questi termini si affaccia nel bilanciamento degli interessi coinvolti il diritto all’oblio, configurato come prolungamento della sfera di riservatezza individuale. Da un punto di vista strettamente soggettivo, merita formale riconoscimento la facoltà di far dimenticare alla comunità fatti e nomi relativi a vicissitudini giudiziarie particolarmente controverse ed efferate. Deduce in proposito la Corte di Cassazione che la parzialità nella ricostruzione dei fatti riferiti non gode della scriminante del diritto di critica; infatti, il gratuito accostamento di alcuni personaggi ad una serie di ipotesi oggettivamente diffamatorie perché gravi e non dimostrate nell’ambito dello specifico procedimento giudiziario – a fortori se dallo stesso smentite – recano pregiudizio alla reputazione di chi ritrovi rediviva la vicenda in chiave giornalistico – investigativa. Una notizia di tal fatta, parziale se non si informa lo spettatore della intrinseca infondatezza giuridica delle ipotesi che la compongono e resa nelle circostanze sopra esposte, viene ritenuta dai giudici di terza istanza sicuramente illegittima. Nelle parole della motivazione, "(…) attualità della notizia ed attualità dell’interesse pubblico costituiscono risvolti di una delle condizioni alle quali è subordinato l’esercizio del diritto di cronaca o di critica che, sostanziando quel presidio costituzionale (relativo all’art. 21 Cost., n.d.r.), giustifica il sacrificio degli anzidetti beni giuridici (riservatezza, onore, reputazione, n.d.r.) ed integra, sul pano penale, la speciale esimente dell’art. 51 c.p. (…) tutto ciò – prosegue la Suprema Corte – (…) considerando che il decorso del tempo può attenuare l’attualità della notizia e far scemare, al tempo stesso, anche l’interesse pubblico all’informazione" (cfr. Cass., Sez. V, sent. n. 45051 del 17/07/2009, in www.cassazione.net). Ritiene ulteriormente Piazza Cavour che, laddove si pongano in essere ricostruzioni giornalistiche concernenti fatti di cronaca giudiziaria già passate al vaglio dell’autorità competente, il rispetto dell’obbligo deontologico di parametrarsi a criteri di rigore ancora maggiore dell’ordinario, insiste sul cronista e lo costringe ad un opportuno contegno in considerazione dei diversi beni giuridici concorrenti. Appare a tal proposito censurabile "(…) riferire su ipotesi investigative o meri sospetti degli inquirenti (veri o presunti che siano) senza precisare, al tempo stesso, che quelle ipotesi o sospetti sono rimasti privi di riscontro" (cfr. Cass., cit.). Concludendo, la causa di giustificazione del diritto di cronaca è applicabile fintanto che sui fatti commentati o ricostruiti liberamente non intervenga la verità (processuale) di una sentenza. In tal caso occorre che il giornalista si confronti con il proprio pubblico fornendo un informazione completa ed accurata, previa adeguata verifica della fonte rivelatrice di nuove indiscrezioni. (Stefano Cionini per NL)