Domanda: Nell’ambito del G8 di Tokyo si parlerà anche di diritto d’autore. In proposito, cosa pensa dell’ACTA, il trattato contro la pirateria?
Risposta: “Il G8, per definizione, intende fare soprattutto l’interesse del ristretto circolo dei Paesi che vi partecipano. Di solito, in quella sede, si discutono tematiche assai più rilevanti, a prima vista, della protezione del diritto d’autore: strategie belliche, interventi umanitari (a volte invocati per perseguire interessi commerciali con l’uso delle armi..), la liberalizzazione degli scambi commerciali di materie prime e di generi alimentari, politiche energetiche alternative per fronteggiare l’aumento del prezzo del petrolio, e così via. Il diritto d’autore, e la lotta alla pirateria, hanno assunto un valore così forte perchè i modelli di mercato dell’industria dell’intrattenimento, del software e dell’information technology – in molti dei Paesi membri di quel ristretto consesso – sono fortemente compromessi dalla rivoluzione digitale in atto e dai rapidissimi passi in avanti compiuti in questi settori da paesi emergenti quali la Cina e l’India, che solo recentemente si sono impegnati a far rispettare la proprietà intellettuale alla luce della loro adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Penso che un trattato internazionale che si prefigga, fin dal titolo, il mero scopo di fronteggiare la contraffazione su vasta scala di diritti d’autore senza preoccuparsi degli altissimi costi sociali di certe forme di lotta alla pirateria non rappresenti un grande passo in avanti, in termini di civiltà e di politiche multilaterali”.
D: Data la necessità di valorizzare l’innovazione e la creatività e di difendersi dalle contraffazioni, come si può, secondo lei, compenetrare tutto questo con la libertà della comunicazione, l’abbattimento delle barriere e la smaterializzazione dei contenuti?
R: “Occorrerebbe ripensare completamente il sistema del diritto d’autore, nella sua dimensione tecnologica. Oggi come oggi, non è sempre vero che la garanzia di una vasta e lunghissima protezione dei diritti d’autore abbia, da un punto di vista logico ed economico, un effetto incentivante della creatività. Non si può pensare di incentivare i creatori di software e di banche dati allo stesso modo (cioè con gli stessi strumenti giuridici ed economici) dei romanzieri, dei musicisti o degli sceneggiatori. Oggi non c’è sufficiente diversificazione e flessibilità nella protezione del diritto d’autore. Non c’è stata e non c’è ancora, nella legislazione nazionale e internazionale, una seria considerazione di sistemi alternativi di incentivazione e compensazione dei creatori. L’avvento del digitale e di Internet ha sovvertito i meccanismi di produzione, distribuzione e modifica dei contenuti protetti dal diritto, e ha portato a un livello drammatico di conflitto tra le esigenze della libera circolazione di contenuti liberi e quelle di "controllo" dei contenuti legalmente e tecnicamente protetti o proprietari”.
D: L’impianto legislativo italiano (L. 633/41 e ss. mm. e ii.) è, secondo lei, all’altezza della situazione? O necessitiamo di regole certe e forti, visto che la società dell’informazione non può prescindere da una regolamentazione che assicuri la certezza del diritto?
R: “L’impianto della nostra legge è insufficiente a fronteggiare i temi di cui ci occupiamo; e ciò non dipende soltanto dal fatto che molte delle innovazioni legislative degli ultimi anni si siano poste quali "atti dovuti", in virtù dell’obbligo del nostro Paese di implementare le direttive europee in materia. Nei tanti casi in cui tali direttive lasciavano ampi spazi di manovra ai legislatori nazionali, il nostro legislatore si è ben guardato dall’esercitare le proprie potestà di stato sovrano e dal combinare le proprie politiche culturali – di importanza decisiva all’interno di una materia quale il diritto d’autore, soprattutto nel digitale – con le politiche squisitamente commerciali che le direttive in questione si prefiggono come obiettivo quasi esclusivo”.
D: Nel suo libro lei mette a confronto le direttive europee con il diritto statunitense, affermando che il diritto europeo appare sbilanciato verso la tutela degli interessi dell’industria tradizionale dei contenuti, puntando sull’uso di misure tecnologiche di protezione sempre più pervasive. Davvero ritiene che la normativa americana e le azioni intraprese negli ultimi 3 anni da RIAA e MPAA non siano altrettanto pervasive?
R: “Le azioni intraprese da RIAA e MPAA negli Stati Uniti hanno goduto di grande risalto sulla stampa internazionale perchè hanno rappresentato la prima risposta "organizzata" e potente ai problemi di enforcement posti dal digitale da parte delle lobbies dell’intrattenimento musicale e cinematografico. Se avessimo avuto anche in Europa, su scala paneuropea, simili lobbies, altrettanto agguerrite e operanti in un contesto interamente armonizzato a livello legislativo, il carattere più restrittivo del diritto d’autore comunitario avrebbe avuto maggior risalto, di fatto. L’analisi che compio nel mio libro è di tipo tecnico-legislativo e tiene conto del più ampio ambito di protezione conferito ai detentori di copyright e a coloro che utilizzano misure di protezione tecnologica quale il DRM, a svantaggio di utenti, consumatori e imprese concorrenti”.
D: Come giudica la proposta del Commissario UE MacCreevy e, da ultimo, la proposta del Ministro della Cultura francese per tutelare il diritto d’autore?
R: “La proposta di McCreevy di estendere in modo considerevole la protezione del diritto connesso sulle registrazioni musicali, al fine di ottenere una durata complessiva di 95 anni dalla prima pubblicazione di ogni registrazione, è un malcelato tentativo di favorire le case discografiche dominanti. Trovo inoltre molto fastidioso che nella retorica che ha accompagnato la presentazione di tale proposta sia stata menzionata la volontà politica di sostenere gli interpreti esecutori (cioè i musicisti) che danno vita a tali performances. Niente di più falso! nella stragrande maggioranza dei casi, gli intepreti esecutori perdono in sede contrattuale ogni diritto sulle proprie registrazioni musicali, cedendo tutti i propri diritti, in blocco, alle case discografiche. Se si volesse davvero intervenire per rafforzare la posizione di questi soggetti – di cui, a differenza delle case discografiche, ci sarà sempre bisogno nella creazione e rappresentazione musicale- occorrerebbe modificare la legislazione applicabile ai contratti mediante cui i musicisti amministrano e cedono i loro diritti esclusivi di esecuzione. Sulla proposta francese, che assegna agli Internet Service Providers un ruolo di controllo e "polizia" sulle reti telematiche, ho delle fortissime riserve, soprattutto perchè non coinvolge in alcun modo i consumatori e gli utenti nella condivisione e co-gestione di tale sistema; sistema che, in teoria (troppo in teoria), dovrebbe servire a bloccare la circolazione non autorizzata dei soli contenuti protetti da copyright, senza ostacolare la libera diffusione di tutti i contenuti entrati a far parte del pubblico dominio e e l’altrettanto libera diffusione dei contenuti creativi licenziati al pubblico con licenze aperte come la General Public License per il software e le Creative Commons per le opere creative "tradizionali".
D: Parliamo del CCPDA. Tante le proposte di riforma della Legge sul Diritto d’Autore. Trova che la posizione del Comitato sia all’avanguardia o ferma su posizioni di tutela dell’industria?
R: “Il Comitato, a mio parere, non rappresenta adeguatamente gli interessi in gioco in questo settore. Ha componenti illustri e competenti, ma esercita un ruolo del tutto marginale nella nostra politica culturale. Ogni tanto elabora proposte sensate, altre volte – magari armato di ottime intenzioni, almeno in partenza – contribuisce a far emanare norme pericolose, come la recente novella dell’articolo 70 della Legge sul diritto d’autore, che detta le condizioni di liceità delle utilizzazioni libere per uso scientifico o didattico, confinandole, per effetto di tale novella, nel digitale, a usi parziali di materiale protetto che, per essere lecito, deve essere necessariamente "degradato"; ciò per evitare un conflitto di tale utilizzazioni con usi commerciali di tali materiali che la legge riserva ai detentori di diritti economici d’autore. Sarebbe meglio fossero i giudici a pronunciarsi sull’ambito di applicazione di tali eccezioni al diritto d’autore; eccezioni, per le quali, nella mia monografia, propongo un ripensamento complessivo, spiegando perchè dovrebbero trasformarsi in veri e propri diritti soggettivi degli utenti e dei consumatori, azionabili in giudizio così come i diritti degli autori, degli interpreti, delle case discografiche e degli organismi radiotelevisivi”.
(M.P. per NL)
Giuseppe Mazziotti – Note
Laureato summa cum laude presso l’Università degli Studi di Perugia (2001), ha conseguito un Master of Research e il dottorato di ricerca (PhD) presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze (2007). Nell’anno accademico 2004/2005 è stato Visiting Scholar presso la Facoltà di Legge dell’Università della California di Berkeley (Boalt Hall), svolgendo attività di ricerca nei settori della proprietà intellettuale e del diritto della concorrenza. Iscritto all’Albo degli Avvocati dal 2004, è autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto comunitario, proprietà intellettuale, diritto dell’informazione e diritto della concorrenza. È membro del gruppo di lavoro di Creative Commons ed è consulente del Servizio Licenze Libere (SeLiLi), entrambi istituiti presso il Dipartimento di Informatica e Telematica del Politecnico di Torino. In qualità di esperto nazionale di diritto d’autore, è stato recentemente invitato a collaborare alla stesura di una licenza di software libero (c.d. Licenza Pubblica dell’Unione Europea) che sarà adottata dalla Commissione Europea nell’ambito dell’Open Source Observatory and Repository project. E’ uno dei fondatori del progetto Musikethos.org.