Il nuovo metodo alternativo di risoluzione delle controversie introdotto dal decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 con finalità prettamente deflattive del contenzioso civile, fa il suo ingresso anche tra i ranghi della P.A. e sarà applicabile ai soli atti amministrativi di natura non autoritativa.
La procedura, appositamente predisposta, è contenuta nella circolare n. 9/2012 diramata dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri e vedrà impegnati dirigenti o dipendenti privi di qualifica dirigenziale – seppur dotati di “comprovata e particolare competenza” – confrontarsi con il privato al fine di comporre bonariamente una controversia che, sostanzialmente, afferirà a quelle attività che gli Uffici perseguono servendosi di strumenti di tipo privatistico. Per rendere subito l’idea delle materie interessate dalla procedura in esame, si pensi, a titolo esemplificativo, ad una controversia relativa all’applicazione di un contratto di locazione o di comodato, per i quali risulta condizione di procedibilità del giudizio (per la parte privata come per quella pubblica) il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione. Nell’ambito tracciato dalle linee giuda in argomento, quindi, l’Avvocatura dello Stato sarà chiama a svolgere un ruolo esclusivamente consultivo per le amministrazioni patrocinate avanti agli organi giudiziari, soprattutto per quei casi in cui saranno trattate questioni di particolare rilevo o che potrebbero comportare aggravi economici a carico della P.A. Da un punto di vista procedurale – nel caso in cui gli uffici erariali ricoprano il ruolo di parte convenuta – agli stessi sarà notificato l’atto di accesso alla mediazione e si troveranno allora a dover decidere se parteciparvi o meno. Nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di non dover perseguire il tentativo di conciliazione, la decisione dovrà essere comunicata all’organismo incaricato. La procedura, quindi, all’apparenza sembrerebbe snella e di facile realizzazione, se non fosse, però, per i ristrettissimi tempi in cui il decreto delegato la contingenta. A tal proposito, infatti, nella circolare di Palazzo Vidoni sono indicati alcuni meccanismi correttivi – non previsti nella disciplina di riferimento e, quindi, di dubbia legittimità – atti a piegare la mediaconciliazione alle inefficienze dello Stato ed alla scarsa predilezione dei funzionari pubblici di rispettare tempi ragionevoli per la conclusione delle istruttorie. In particolare, prescrive la norma che l’accettazione od il rifiuto della proposta di conciliazione debba pervenire all’organismo entro 7 giorni dalla formulazione. Pensiamo un po’ se una P.A. in un così breve tempo potrebbe mai determinarsi sul da farsi o addirittura richiedere il parere all’Avvocatura ed ottenere debito riscontro. E’, infatti, patrimonio collettivo la consapevolezza che la conclusione di un procedimento amministrativo possa tardare anni; proprio per questo, il Dipartimento della funzione pubblica ha creato ad hoc una procedura in base alla quale richiedere all’organismo di mediazione una proroga dei termini. Insomma, il solito vizietto all’italiana per il quale si continua a rimandare una seria riforma che renda i meccanismi della P.A. efficienti e si cerca sempre di manipolare adeguatamente le norme – in anni di crisi votate allo snellimento della burocrazia statale – colmando le prevedibili lacune dei pletorici pubblici uffici. (S.C. per NL)