Tipico di chi vede che la situazione sta scappando di mano, quella di perdere la pazienza. E così pare che stia succedendo al tronfio Consorzio fonografici SCF.
Il quale, dopo aver frettolosamente minimizzato – per voce del suo presidente Saverio Lupica – le conseguenze della scelta delle reti nazionali di boicottare le novità musicali in segno di protesta contro la decisione di aumentare di quattro volte l’aliquota sui diritti connessi (dall’uno al 4% del fatturato), parla ora di "ricatto". "Le radio sembrano avere perso un po’ il senno. Noi chiediamo solo il rispetto delle regole e di un diritto naturale che è illogico e privo di senso pratico voler negare: a forza di continuare a dirci che questo è un Paese speciale, finiamo per retrocedere invece di andare avanti. Mi auguro che le radio, le cui scelte editoriali sono evidentemente orientate all’obiettivo di fare business, ritornino a posizioni di ragionevolezza”, ha lamentato il presidente di Emi, Marco Alboni, che, come alcuni suoi colleghi (riunitisi ieri, di gran carriera, al Jolly President Hotel di Milano per discutere dell’emergenza radio), non ha esitato a definire un "ricatto" quello di 10 network nazionali che, non intendendo rinnovare il contratto per i diritti fonografici alle condizioni chieste da SCF (consorzio che rappresenta 300 società) ora boicottano le primizie discografiche, chiedendo a chi detiene i diritti di rinunciarvi. Però, a leggere le dichiarazioni rese a margine del consesso (e riportate dal sito Rockol.it), non pare più esserci tra i discografici quell’unamine condivisione sull’opportunità della strategia, molto aggressiva, sino ad ora adottata dalla loro rappresentanza. "Chi troppo vuole, nulla stringe" è forse lo sgradito refrain che ha iniziato a girare in testa a più d’uno. Già, forse ora, tra gli associati SCF, in molti cominciano a ricordarsi di tale antico e istruttivo proverbio. E magari anche che le imposizioni non piacciono a nessuno. Neanche alle radio. (A.M. per NL)