Brevi riflessioni sulla sentenza del Tribunale di Milano, 17 dicembre 2014, n. 15079. Il concetto di “fonogramma” non è specificato dalla Legge italiana.
La sua definizione, tuttavia, può ricavarsi dalle Convenzioni di Roma (CEDU – Convenzione Europea Diritti dell’Uomo, del 1950) e di Ginevra (Convenzione Universale sul Diritto d’Autore, del 1952): “‘Fonogramma’ significa la fissazione dei suoni provenienti da un’interpretazione o esecuzione o di altri suoni, o di una rappresentazione di suoni, diversa da quella in forma di una fissazione incorporata in un’opera cinematografica o di altro genere audiovisivo”. L’art. 78 della nostra Legge sul Diritto d’Autore, a seguito della riforma del 2003, prevede ora che la prima fissazione possa consistere anche in una “rappresentazione” di suoni; si è introdotto, con la richiamata riforma, un primo significativo recepimento della tecnologia digitale: il fotogramma non più come registrazione diretta di suoni, ma come possibile “contenitore” di rappresentazioni simboliche degli stessi (numeri, codici, file informatici etc.). Il radicale mutamento della formulazione lasciava presagire – giustamente – che sarebbe venuto meno il “vincolo” del supporto fisico e la contiguità dello stesso; e la stessa storica concezione di “master”. Tuttavia, nella vigente disciplina dei rapporti tra il “produttore” di fotogrammi e l’artista interprete, permangono in capo al Produttore le obbligazioni tipiche relative alla distribuzione e promozione dei brani musicali; e la consolidata prassi del settore indica, tra gli oneri del produttore la scelta dei tempi e modi di distribuzione, l’indicazione del numero di supporti, la scelta dei “formati”, la regolazione dei rapporti con i licenziatari o distributori per la migliore promozione, la previsione di copie omaggio per l’artista interprete, l’approntamento del materiale accessorio e funzionale, etc. etc.). In sostanza, nonostante le richiamate evoluzioni concettuali determinate dai mutamenti tecnologici, si ha tuttora l’idea che il produttore sia tenuto a fissare la registrazione su di un supporto ai fini della distribuzione e commercializzazione del brano musicale. Probabilmente non sarà mai più così! Con la sentenza indicata in apertura, il Tribunale di Milano, chiamato a pronunciarsi in merito agli obblighi del produttore fonografico (con specifico riferimento alla distribuzione ed alla promozione di un brano musicale allo stesso affidato), ha ritenuto correttamente adempiute le obbligazioni del produttore attraverso la commercializzazione del ‘singolo’ su piattaforme on-line, ed in particolare iTunes e Spotify; non risultando necessaria, pertanto, la realizzazione del supporto materiale contenente il brano musicale per la vendita al pubblico. Insomma, il Tribunale ha considerato idoneamente assolte le obbligazioni proprie della distribuzione commerciale attraverso la pubblicazione, da parte del produttore, del brano musicale sui principali store digitali; i giudici milanesi, nel prendere atto che – a partire dal 2005 – i CD (almeno quelli relativi a singoli brani) hanno perso ogni possibilità di commercializzazione sul mercato, hanno individuato nello streaming e nel downloading digitale lo strumento idoneo per la distribuzione musicale. Secondo il Tribunale, quindi, il produttore adempie correttamente ai propri obblighi contrattuali disponendo la commercializzazione di un brano musicale sulle piattaforme on-line; tale condotta, almeno con riguardo al singolo brano, costituisce una “diffusione adeguata”, pienamente idonea a far conoscere l’opera anche ai fini collaterali della facoltà di concederne licenza (sincronizzazione o altri usi). È un ulteriore passo della – ormai inarrestabile – corsa della musica digitale anche nella normativa di settore; un altro importante riconoscimento alla “immaterialità” delle opere creative ed un altro passaggio storico nel “mondo della musica”. (I.M. per NL)