Era nell’aria. SCF ad avviso dei radiofonici stava esagerando con le richieste e questi hanno detto basta. Così, ora, a farne le spese, sono proprio i rappresentati dal consorzio dei fonografici.
Tutto è cominciato qualche tempo fa, quando il Consorzio Fonografici (già Società Consortile Fonografici, da cui l’acronimo SCF) aveva chiesto alle radio un aumento della quota che esse, già malvolentieri, versavano per assolvere all’obbligo (codificato nell’ordinamento) dei diritti connessi ai diritti d’autore. Un aumento in verità enorme: dall’1% al 4% del fatturato, peraltro in un momento di pesante crisi economica. Una congiuntura negativa che però non ha riguardato l’SCF, che ha, anzi, aumentato i propri ricavi attraverso una politica molto aggressiva (quanto contestata) verso il mercato di riferimento. Il bilancio 2009 della società, come ha dato conto il sito Rockol.it, si è infatti chiuso a quota 37,2 milioni di euro, grazie agli incrementi dei ricavi dei diritti connessi corrisposti da alberghi, bar e ristoranti (+6%), da radio e tv (+5%), dai nuovi media (+11%) e dagli esercizi commerciali (+88%). Al netto degli incassi percepiti dalle discoteche (la cui fatturazione e ripartizione slittano al 2010) e dei compensi per copia privata raccolti dalla SIAE, i diritti incassati da SCF hanno segnato una crescita di circa 4,1 milioni di euro (+16%), rispetto al 2008 (nei dieci anni il fatturato è quintuplicato, tanto che a SCF stimano uno sviluppo dei ricavi del 28% per il 2010 e di oltre il 50% nel triennio). Ma il giochetto rischia ora di rompersi, visto che le rappresentenze delle radio non hanno inteso acconsentire a quella che ritengono essere una richiesta esosa dei discografici (un aumento del corrispettivo di 4 volte tanto!) ed hanno messo in atto una dura ritorsione: stop sine die alla programmazione dei nuovi brani musicali finché la trattativa non tornerà su binari di equità. Un embargo, quello disposto dalle radio, che inevitabilmente inciderà pesantemente sulle vendite musicali e sull’indotto (concerti, passaggi tv, ecc.). Una batosta durissima per il Consorzio fonografici. "Questa situazione va avanti dal dicembre 2006 quando è scaduto il contratto", ha spiegato in una intervista al Tgcom Saverio Lupica, ex direttore generale e nuovo presidente della SCF (che include le case discografiche Emi, Universal, Sony, Warner, Nar e Sugar), che ha sostituito da fine aprile il dimissionario Gianluigi Chiodaroli (al vertice di SCF dal 2002). "Abbiamo fatto la richiesta iniziale di alzare i diritti dall’1% al 2%, oggi le radio pagano comunque meno del 2%. Ma non è stato raggiunto nessun accordo a dicembre 2008. Poi siamo passati a un altro piano di discussione chiedendo di stabilire un equo compenso della percentuale calcolando il minimo dei diritti applicati dalla Spagna del 2,16% e quello massimo francese del 5,8%. In sostanza si arriva a una richiesta del 4%. Siamo stati disponibili, abbiamo provato una conciliazione ma alla prima udienza, dopo mesi di promesse, è saltato tutto da parte delle radio. Quando abbiamo comunicato che saremmo ricorsi, come abbiamo fatto, ai giudici ecco che le radio hanno attuato questa iniziativa di rimodellare i loro palinsesti musicali non proponendo le nuove hit. Per carità, liberissimi di farlo, possono anche programmare canzoni degli anni 30 ma non trovo corretto la richiesta della liberatoria per la richiesta sui pagamenti dei diritti fonografici, chiamati anche comunamente diritti discografici", ha chiosato Lupica. Bisogna però vedere cosa ne pensano i suoi consorziati, che dalla programmazione dei brani musicali traggono (direttamente ed indirettamente) proventi economici ben superiori a quelli derivanti dalla riscossione dei diritti connessi. La sensazione è che se SCF non tornerà prudentemente sui propri passi, potrebbe far pagare un conto salatissimo ai propri associati. Che non saranno affatto contenti. (M.L. per NL)