Il 16 novembre inizierà lo switch-off dell’area tecnica 12 (Lazio, esclusa Viterbo, con avvio dalla città di Roma) che si concluderà il 30 del mese, mentre dal giorno dopo toccherà alla numero 13 (Campania), il cui tavolo tecnico è stato convocato per il 10 novembre. E per entrambe non sarà una passeggiata. Anzi. Se già l’area tecnica 1 (Piemonte occidentale), forse sottovalutata in quanto preceduta da esperienze poco traumatiche come quelle delle aree 16 (Sardegna) e 2 (Valle d’Aosta), è stata ed è un bagno di sangue, l’area 4 (Trentino Alto Adige) sta confermando, pur indubbiamente in maniera meno dirompente, una serie di criticità, quali: l’oscuramento delle aree minori servite dagli impianti ex art 30 D Lgs 177/2005, le difficoltà operative della tecnologia SFN, i mal digeriti investimenti degli utenti nella ristrutturazione delle antenne a seguito del cambio di banda o di direzione di irradiazione di alcuni canali e la complessiva riduzione del servizio di molte emittenti locali e reti minori (che si auspica ricostituiranno nel termine concesso ex lege di sei mesi). Ma nel Lazio, dove a due settimane dallo switch-off gli operatori di rete non hanno ancora ricevuto i preavvisi di assegnazione dei diritti d’uso temporanei (le note di avvio del procedimento che riportano il canale che sarà assegnato con determina immediatamente successiva), la situazione è immensamente più allarmante. Anzitutto perché è certo che non ci sarà spazio per esaudire tutte le richieste: le 55 frequenze disponibili, che si riducono a 50 per la provincia di Roma (stanti le 5 frequenze spettanti al Vaticano: i canali 6, 11, 21, 45 e 57, che presumibilmente rimarranno inutilizzati chissà per quanto) tolte le 21 assegnazioni nazionali (compresi i 5 canali del dividendo) – considerate intoccabili – non basteranno per ospitare la conversione delle reti locali analogiche e digitali attualmente operative. Un problema acuito dal fatto che lì, come del resto in molte parti d’Italia, il già elevato numero di emittenti preesistenti è stato ampliato con l’ingresso di nuovi operatori di rete che hanno (legittimamente) iniziato la propria attività acquisendo impianti da concessionari o autorizzati, così estendendo gli aspiranti alla torta frequenziale. E siccome la scelta tecnologica adottata per introdurre il DTT in Italia è stata il single frequency network (SFN), la gestione delle assegnazioni dei diritti d’uso si fa enormemente complessa, anche perché i criteri di scelta tra soggetti aventi pari dignità giuridica (e quindi legittimo interesse al conseguimento del diritto d’uso) sono a dir poco nebbiosi. Se è pur vero che con la migrazione nessun operatore di rete dovrebbe ricevere in dote più di quanto avesse in precedenza (gli impianti analogici o MFN preesistenti verranno meramente convertiti in SFN sulla sola frequenza assegnata, salvo il caso di RAI cui sarà consentito la realizzazione di reti MFN), cosicché chi operava in una dolorosa situazione interferenziale potrà aspirare al servizio su un’area equivalente a quella effettiva di provenienza, è già chiaro che tale filtro non consentirà comunque di salvare tutti. A quanto risulta a questo periodico, la soluzione alla quale si starebbe pensando nelle ovattate sale romane per le aree tecniche più congestionate, sarebbe quella della condivisione dei multiplexer locali in forma consortile (nel senso civilistico del termine): un’ipotesi che però fa a pugni con l’impegno di preservare la singolarità dell’esistente (promessa invero pinocchiesca, visto che un’attenta lettura della norma di riferimento non appare affatto così garantista), che presuppone matrimoni forzati di dubbia resistenza temporale e che distrugge le prospettive di business come network provider. Poi, nel Lazio, come del resto in molte altre parti d’Italia, c’è da sciogliere il nodo dei canali UHF 70, impianti irregolari (in quanto operanti su frequenza assegnata dal P.N.R.F. ad altri servizi) ma regolarmente censiti ex art. 32 L. 223/1990, tollerati in stato di acquiescenza amministrativa od operanti in forza di provvedimenti cautelari o di merito della magistratura amministrativa, che non si è ancora capito se potranno essere riconvertiti sulle risorse frequenziali DTT assegnate e, soprattutto, se siano forieri di diritti soggettivi e/o interessi legittimi ai fini del riconoscimento della copertura. Sul punto, al di là di negative risposte caliginose della D.G.P.G.S.R. del MSE-Com, un responso giuridicamente convincente non è ancora pervenuto. E la situazione è non di poco conto, se si considera che esistono emittenti che operano solo attraverso impianti su tali frequenze, che, se non riconosciuti come forieri di interessi legittimi all’assegnazione, determinerebbero la chiusura dell’attività tecnico-editoriale per mancato presupposto di validità per il conseguimento dei diritti d’uso temporanei per canali DTT. Insomma, c’è di che stare col fiato sospeso.