Faceva bene il viceministro allo Sviluppo Economico Paolo Romani a preoccuparsi. Avrebbe invece fatto bene a impensierirsi per tempo Mercedes Bresso, presidente della Regione Piemonte, anziché a uova rotte.
Si sarebbero dovute inquietare le associazioni di emittenti locali, allorquando ai primi tavoli tecnici i maggiori player nazionali divoravano di tutto e di più, lasciando gli avanzi alle reti minori e per il “dividendo”. Sta di fatto che, a differenza di quanto strillato all’inizio della vicenda da un governo forsennatamente digital oriented, col cavolo che tutti hanno conservato con la transizione numerica (almeno) quel che avevano prima. E parliamo sia degli editori (locali) che degli utenti che, anziché ricevere una varietà di programmi maggiore di quella analogica, in moltissimi casi non ricevono più nulla. Per i primi ci riferiamo soprattutto a soggetti che gestivano due reti (un’analogica ed una digitale) che avrebbero (come i nazionali) avuto diritto ad ottenere più assegnazioni. Per i secondi il pensiero corre agli sfortunati abitanti delle cd. “valli laterali” o a coloro che risiedono in aree dove i segnali in tecnica SNF confliggono mandando in tilt i decoder. Dopo le strilla intempestive di Mercedes Bresso, tardivamente resasi conto del disastro cui andavano incontro i piemontesi non metropolitani (la migrazione dell’Area tecnica 1 si sta completando: entro domani sarà concluso lo switch-off dell’ultima zona, il Canavese orientale, con le pianure di Torino e di Cuneo), l’MSE-Com pare stia filando di gran lena per consentire la riattivazione degli impianti ex art. 30 D. Lgs 177/2005. Ma, semmai si riuscisse a tamponare la questione degli impianti RAI (gli utenti ai quali la concessionaria pubblica non garantisce la ricezione dei segnali, ma assicura puntualmente quella dei bollettini del canone, sono giustamente infuriati), rimarrebbe al tappeto il problema dei disagi relativi ai diffusori delle stazioni private. Che, messe a serio rischio a livello editoriale e più in generale imprenditoriale, minacciano azioni legali contro il MSE-Com (che ben farebbe a non sottovalutarle, visti i disastrosi effetti del caso Europa 7). Anzi, le annunciano chiaramente, come ha fatto oggi Telecupole, storica emittente piemontese che nell’arco di più di trent’anni di attività aveva faticosamente costruito una rete di diffusione capillare in tutto il Piemonte (ben oltre 100 impianti, eserciti senza mai cedere alle speculazioni del trading impiantistico) ora annientata dalla sventurata scelta di pianificare reti in tecnica SNF che – ormai è noto – alla prova dei fatti è sovente un fallimento, oltre ad impedire per sua natura il collegamento dei ripetitori secondari in banda (bene ha fatto RAI a pretendere ed ottenere, in deroga, l’autorizzazione all’esercizio di reti MFN)."Sto investendo un milione e mezzo di euro per aggiornare gli impianti e i ripetitori", ha dichiarato oggi al quotidiano la Stampa Piermaria Toselli, infaticabile editore della stazione che la sua sede nella provincia di Cuneo. “Ci hanno penalizzati togliendoci la frequenza 57 in partenza dal ripetitore di La Morra e lasciandoci soltanto la 64, che trasmette dal Colle della Maddalena”. Il riferimento è ovviamente alla circostanza che – come dicevamo – alla verifica fattuale la tecnica SFN, applicata a due impianti importanti come quelli di Telecupole a Colle della Maddalena (To) e La Morra (Cn), genera una conflittualità nell’area intermedia (densamente popolata) che rende concretamente irricevibile il segnale. E ciò senza considerare che Telecupole è stata una delle primissime stazioni ad esercire reti distinte (con programmazioni non coincidenti) in analogico e digitale con livelli di servizio (concreto) ben al di sopra delle soglie previste dalle delibere in materia dell’Agcom per il conseguimento di due multiplexer. Come ha quindi effettuato le verifiche tecniche preventive il MSE-Com? Piermaria Toselli vuole, a riguardo, vederci chiaro e così annuncia di aver già avviato un ricorso al TAR, per contrastare un provvedimento amministrativo che ritiene fortemente lesivo dei suoi interessi legittimi al conseguimento di una struttura impiantistica che quantomeno sia equivalente a quella precedentemente gestita. Romani, da molte settimane investito del problema, tace. Idem l’Agcom. La parola, come spesso accade in Italia, dovrà quindi passare ai giudici.