Sarà una classifica, secondo Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo Economico con delega alle Comunicazioni, a stabilire l’assegnazione dei canali digitali.
Una lista che potrebbe fondarsi sui criteri delle graduatorie del Corecom (stilate per l’erogazione dei contributi ex L. 448/1998), indicizzando le emittenti secondo il loro fatturato, il numero di dipendenti, gli ascolti, la storia e l’area geografica di diffusione. Insomma, intervistato da Andrea Pasqualetto per il Corriere del Veneto, il glaciale uomo di governo che tra poco più di due mesi traghetterà (volenti e nolenti) gli editori analogici all’era numerica, ha sostanzialmente ammesso che le emittenti meno performanti (quindi, sostanzialmente, quelle minori), saranno relegate sulle cosiddette frequenze di serie B. Tutto si gioca, infatti, “sulla qualità delle frequenze”, dopo che la revisione del Piano nazionale di assegnazione delle frequenze digitali ha destinato le frequenze coordinate a livello internazionale (quindi quelle impiegabili senza sostanziali vincoli sul nostro territorio) agli operatori nazionali, sia esistente che futuri (una volta assegnato il dividendo attraverso il beauty contest). E, resisi conto che quel che rimaneva doveva ancora essere coordinato con gli stati confinanti, con la prevedibile (se non scontata) introduzione di pesanti limiti di diffusione soprattutto nelle aree prossime ai confini, gli editori locali sono letteralmente insorti preannunciando ricorsi ai giudici amministrativi ancor prima di aver avuto conoscenza dei criteri di assegnazione. Criteri che, Romani (foto) ritiene potrebbero essere resi noti entro la fine di luglio. “Solo allora – dice – le tivù locali potranno capire se le preoccupazioni di cui oggi si fanno portavoce hanno un senso oppure no”. Ma, secondo il freddo Romani, le emittenti farebbero bene a preoccuparsi non già delle assegnazioni delle frequenze (secondo lui sarà comunque garantita a tutti la sopravvivenza) quanto di un futuro che esige investimenti in contenuti notevoli per coloro che ambiscono ad un ruolo di content provider, oltre che di operatori di rete. Il ragionamento è semplice, effettivamente oggettivo, e più volte affrontato su queste pagine (anzi, questo periodico fu il primo a segnalare il pericolo): le emittenti più piccole, che già faticano a mettere in piedi un palinsesto che non sia di mere televendite, riusciranno a riempire concretamente i propri mux? Allo stato, infatti, c’è l’obbligo di veicolare almeno tre programmi, senza particolari prescrizioni qualitative e tecniche; ma a breve sarà probabilmente imposto il vincolo di sfruttamento completo ed efficiente della capacità trasmissiva digitale, pena la revoca o la riduzione dell’assegnazione. Produrre o trovare fornitori per almeno cinque programmi per multiplexer non è come ridere, pensandoci bene ("Nelle regioni all digital solo il 54% delle frequenze è effettivamente sfruttato", ricorda Romani). E allora torna la preannunciata soluzione consortile: “Se per esempio Tele X trasmette sul 22 e Tele Y sul 23 e non riescono a fare 5 televisioni a testa – sottolinea Romani -, si metteranno assieme sul 22 e faranno 2 canali e mezzo a testa. Insomma, il digitale è molto vasto e le possibilità sono tante. Vanno affrontate con mente aperta, moderna, senza farsi travolgere dalla vecchia mentalità analogica e dalle paure”. Vero. Ma tra il dire ed il fare c’è di mezzo la storica scarsissima propensione degli editori locali a collaborare. Tendenza che Romani conosce bene, visto che è stato per molti anni editore di tv locali e con i concorrenti/colleghi ci ha litigato non poco pure lui. Per esempio, posto che è impensabile che editori che decidano di consorziarsi lo facciano legandosi con contratti di cessione di capacità trasmissiva (l’operatore di rete destinatario dell’assegnazione è, per principio, uno solo), si dovrà necessariamente passare attraverso la creazione di newco o fusioni per incorporazione (sulle quali il MSE-Com non lo dice ma punta molto). Matrimoni forzati sulla cui durata sono certamente in pochi a scommettere. In questi giorni, intanto, nell’occhio del ciclone c’è la questione del Veneto, dove, al pari del Friuli, le frequenze sarebbero sostanzialmente dimezzate per via degli accordi UIT di Ginevra del 2006 che hanno assegnato una fetta consistente dello spettro elettromagnetico di riferimento a Croazia e Slovenia. Gli editori del luogo sono in rivolta e minacciano ricorsi giudiziari perché sia rispettata la riserva di un terzo (sostanziale e non formale) delle frequenze alle emittenti locali. Riserva che pare non verrà rispettata, con operatori nazionali attuali e venturi destinatari delle assegnazioni senza rischi e network provider locali a raccogliere gli avanzi. Secondo Romani, il problema del Veneto “è uguale a quello della Lombardia, del Friuli e dell’Emilia. Da Torino fino a Trieste si tratta di un’unica area tecnica ed è naturalmente la più complicata. Ha il problema di coordinarsi internazionalmente con Svizzera, Austria, Slovenia e Croazia. Quattro nuovi coordinamenti quando fino a oggi nelle aree già digitalizzate non c’è stato questo problema, tranne in misura minore nel Lazio per la Corsica”. Tutto sta nel decidere, in tempi brevi e con criteri che penalizzino il meno possibile le emittenti locali italiane in queste aree, delle regole per l’assegnazione. Solo dopo il MSE-Com assegnerà le frequenze. Intanto, però, il viceministro ha già incontrato il suo omologo sloveno per discutere circa le possibili soluzioni. “Abbiamo forse trovato – dice – il modo di consentire alla Slovenia di difendere gli otto canali che sono attribuiti alla loro zona e nel contempo difendere i canali riservati all’Italia per trovare poi la compatibilità con tutti gli altri. Compatibilità che nel Veneto sono molto facili, nel Friuli un pochino più difficili, a Trieste sicuramente complicate”. Come abbiamo già scritto, un’estate infuocata, dalla quale inevitabilmente in molti usciranno scottati. (G.C. per NL)