Nel primo semestre del 2010 (salvo modifiche del calendario a seguito di unificazione di aree tecniche), migrerà l’Area Tecnica 3, costituita dal Piemonte orientale e dalla Lombardia, esclusa la provincia di Mantova e compresa quella di Piacenza.
Trattasi probabilmente dell’area tecnica più impegnativa tra tutte quelle che compongono il programma di passaggio integrale al DTT, considerata la congestione dell’etere e gli evidenti interessi politici, editoriali e commerciali in gioco; un territorio dove nessun operatore nazionale di rilievo può permettersi di non esserci (o di esserci malamente), pena l’esclusione o la marginalizzazione dal mercato. Una situazione, quindi, delicatissima, come dimostrato dal fatto che, allo stato, non risulta pianificato lo switch-over (migrazione anticipata di Raidue e Retequattro), processo preparatorio alla traduzione numerica integrale che ha finora caratterizzato i territori passati totalmente al digitale. E aggravata dal fatto che il MSE-Com conosce solo spannometricamente l’assetto radioelettrico dell’area lombarda. Ciò, come più volte denunciato, a causa di un Ispettorato Territoriale, quello della Lombardia, che da almeno 15 anni a questa parte è stato pressoché abbandonato al proprio destino, con una successione nella dirigenza così frequente che s’è persino perso il conto dei direttori o facenti funzioni messisi alla guida. Il risultato è che spesso al ruolo dell’organo periferico lombardo del MSE-Com ha dovuto supplire la magistratura ordinaria, cui le emittenti si sono dovute negli anni rivolgere per risolvere quei problemi interferenziali che la P.A. è stata incapace anche solo di affrontare. Un quadro radioelettrico che pare non essere del tutto noto alla P.A., se non attraverso i dati obbligatoriamente denunciati ed aggiornati dalle emittenti al Catasto delle frequenze, sezione speciale del Registro degli Operatori di Comunicazione istituta da Agcom e riservata esclusivamente alle infrastrutture di diffusione operanti sul territorio nazionale. Un database sul quale il MSE-Com dovrà necessariamente operare per le verifiche del caso, non disponendo, a quanto noto, di autonomi elaborati attendibili. Di questo contesto di complessità ed incertezza dovrà prendere atto il Comitato Nazionale Italia Digitale (CNID), presieduto da Paolo Romani, viceministro del MSE con delega alle Comunicazioni, convocato il prossimo 16 dicembre con ordine del giorno la calendarizzazione delle aree tecniche che migreranno nel 2010 e cioè, oltre alla citata Area 3, le aree 5 (Emilia Romagna) e 6 (Veneto, incluse le province di Mantova e Pordenone), facenti parte di un processo congiunto, nonché le aree 7 (Friuli Venezia Giulia) e 8 (Liguria). Sicuramente in tale occasione verrà opportunamente evidenziata la necessità di aumentare al massimo la disponibilità frequenziale per soddisfare tutte le legittime richieste e quindi garantire la sopravvivenza dell’esistente preservando la riserva per il dividendo digitale in forza dell’obbligo assunto dal nostro governo avanti all’UE. L’obiettivo di massimizzazione dello sfruttamento della provvista frequenziale, con ogni probabilità, si concreterà con l’introduzione degli accorgimenti già impiegati nel Lazio e nella Campania, come la destinazione del canale 69 UHF (previsto dal Piano Nazionale di Ripartizione delle Frequenze per l’impiego da parte del Ministero della Difesa), pur coi limiti del caso e la riduzione all’essenziale del pacchetto per i nuovi entranti che, probabilmente, dovranno fare a meno del DVB-H (che del resto, in termini di dividendo, è qualificato come risorsa “eventuale”). Quasi scontata, stante l’elevato numero di pretendenti, sarà la previsione dell’assegnazione di medesime risorse frequenziali a più soggetti, come è avvenuto nel Lazio, con la conseguenza che i processi di compatibilizzazione, razionalizzazione ed ottimizzazione dovranno proseguire anche in ambiente digitale, successivamente agli switch-off per rimuovere le interferenze che si creeranno tra gli operatori di rete. Presumibile anche un duro confronto con RAI, che ha notevoli pretese a riguardo di reti MFN per limitare gli investimenti per l’interconnessione dei propri diffusori secondari, preferendo utilizzare le cd. teste di ponte in banda, che però limitano le risorse disponibili per le reti SFN dei privati.