Fanno sorridere, alla luce di quel che è successo in questi primi due giorni di digitale terrestre laziale, i proclami entusiastici di Paolo Romani. Davanti al disastro di utenti persi nella sintonizzazione di decoder (quando li avevano) o nella ricerca di programmi smarriti (nell’inferno LCN) e di operatori di rete a cui era stato consegnato il master plan delle migrazioni il giorno stesso dello switch-off, il viceministro al MSE sosteneva che tutto andava bene ("Nessun problema tecnico nelle operazioni di conversione dall’analogico al digitale") e che Roma era divenuta la prima metropoli europea all digital. A parte lo svarione di aver dimenticato che Berlino (che un po’ metropoli e un po’ europea pare lo sia) è tutta digitale da 6 anni, stupisce una distanza così enorme dalla realtà. Dovrebbe ricordare, Romani, che gli utenti sono anche elettori e prenderli per il naso non va tanto bene, soprattutto se si va, come sembra, verso elezioni primaverili. Sarebbe stato meglio dire le cose come stavano e cioè che il MSE-Com aveva avuto problemi imprevisti per le assegnazioni, per via dell’elevato numero dei competitori alle frequenze (aggravato dalla cattiva gestione della riserva per il dividendo digitale) e per la scarsa conoscenza dell’assetto radioelettrico (vedi impianti dimenticati nel master plan); che la questione della numerazione LCN è un problemone che non può essere demandato ad improbabili autoregolamentazioni (che per natura non sono vincolanti tra i non firmatari dell’accordo), addirittura scambiate, a seguito di una cattiva informazione, per regolamentazioni (aventi natura cogente); che la maggioranza degli utenti non ha ancora capito bene come funzioni un decoder (e del resto va detto che la pletora di ricevitori con funzionalità e reazioni differenti davanti ai problemi di sintonizzazione, non aiuta). Non ha nemmeno giocato a favore di una puntuale spiegazione verso i telespettatori il messaggio di DGTVi di una situazione sotto controllo: l’essere un’associazione nata per favorire il digitale non dovrebbe comportare la mera missione di esaltare, quasi si fosse un’agenzia di pubblicità, la nuova tecnologia (sulle cui maggiori potenzialità rispetto all’analogico nessuno ha dubbi), quanto di rimuovere gli ostacoli; obiettivo che si consegue informando utenti ed operatori dei problemi, non sottacendoli, sminuendoli o sottovalutandoli. Non si sbandierano dati non verificati, come quelli che volevano il 90% della popolazione romana digital-ready: la massiccia e concordante azione di protesta delle associazioni dei consumatori ha, infatti, abbassato tale percentuale di circa 1/3 (travolgendo il dato iniziale, in verità poco credibile). Non si aiuta così l’affermazione del digitale. Così, piuttosto, si favorisce la migrazione sul sat. Tanto è vero che Sky e (in misura minore) Tivùsat, stanno facendo affari d’oro a Roma.