Questo passaggio al digitale non s’ha da fare. Almeno non nel modo proposto. Fibrillazione e tensione sono due parole adatte a descrivere il clima che si respira al momento in Veneto, tra istituzioni locali a tutti i livelli, tecnici ed editori locali, alle prese con la grana del DTT.
A Roma, si sa, tra cadute di governo sventate e addii più o meno dolorosi, la situazione non è delle migliori: Berlusconi e i suoi hanno da salvare faccia ed esecutivo e, per il momento, la migrazione al digitale, tra mille problemi e peripezie, è passato in secondo – se non in terzo – piano. Se non altro, potrebbe rilevarsi, adesso abbiamo il ministro per lo Sviluppo Economico. Ma cambiando l’ordine delle poltrone il prodotto non cambia: anche prima spettava a Paolo Romani, da viceministro con delega alle Comunicazioni, occuparsi del DTT e invece, proprio sotto i suoi occhi, è accaduto il patatrac dello scorso giugno, quando la rivisitazione del Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze da parte di Agcom ha sostanzialmente cancellato gli editori locali del Nord-Est (e mette in serio pericolo quelli dell’adriatico in generale). Il PNAF dell’Agcom non ha infatti rispettato la riserva di legge di 1/3 delle risorse disponibili per le locali, considerata la presenza di emissioni oltreconfine che rendono inutilizzabili gran parte dei canali virtualmente accantonati per gli operatori areali. Così la data per lo switch off in Veneto, che inizialmente era stata fissata per la fine di questo mese, è stata rimandata di quattro settimane, in attesa di capire come sbrogliare la matassa. Intanto Comuni e istituzioni locali invano hanno richiesto la convocazione di tavoli tecnici territoriali concertati dal Ministero dello Sviluppo Economico (dipartimento Comunicazioni) per provare a risolvere la spinosa questione, ma il governo è rimasto sordo agli appelli. E perché lo sia stato è facile immaginarlo: non c’è soluzione senza il placet dei nostri confinanti, che dovrebbero rinunciare ad un impiego pieno delle risorse frequenziali a loro assentite a livello ultranazionale. Pertanto, lo switch off che sarebbe dovuto avvenire più o meno in contemporanea in Lombardia e in Veneto, probabilmente si distanzierà a livello temporale: mentre i vicini lombardi, salvo ripensamenti delle prossime ore, esperiranno effettivamente il passaggio in maniera progressiva tra poco più di due settimane (Milano switcherà a fine novembre), i veneti dovranno aspettare. E sulla data riproposta non c’è certo da metterci la mano sul fuoco. La pubblicità sui giornali, gli spot informativi e le brochure per l’utenza sono al momento congelati; la situazione di stallo pare non lasciar intravedere i margini per un’effettiva partenza, né per il 27 novembre, e nemmeno per il 15 dicembre, ultimo giorno della forbice di 18 giorni indicata come limite massimo per lo spegnimento del segnale analogico. La svolta potrebbe avere luogo il 21 ottobre, giorno in cui si dovrebbe tenere incontro a Brdo, in Slovenia, durante il quale una delegazione tecnica italiana andrà con la bandiera bianca alzata a chiedere che i confinanti non eserciscano a regime gli impianti sulle frequenze a loro assentite, stroncando (senza dolo, ovviamente) col debordo naturale del segnale le trasmissioni italiane. Le incolpevoli Slovenia e Croazia, infatti, in virtù degli accordi UIT di Ginevra del 2006, sono legittime assegnatarie di buona parte dello spettro elettromagnetico di riferimento, per cui, al contrario delle altre regioni italiane, aventi diritto a 55 frequenze concretamente utilizzabili in stato di compatibilità internazionale, il Veneto e (soprattutto) il Friuli ne hanno a disposizione solo 27, quasi tutti assegnate dal pastrocchio firmato Agcom alle emittenti nazionali. E se i nostri vicini non ci concedessero (e avrebbero tutto il diritto di non farlo) l’utilizzo pieno in territorio italico di alcune frequenze condivise, gli operatori del Triveneto si troverebbero, a un mese dal via (annunciato), con la squadra pronta ma senza un campo sul quale giocare. Altra questione spinosa, che lascia intendere che la situazione nelle prossime settimane si farà ancor più frenetica dell’attuale, è quella della garanzia del mantenimento del segnale tv nelle zone del Bellunese e nella fascia Pedemontana. Lì i segnali digitali difficilmente saranno attivati a breve (per i costi non confortati dall’appeal commerciale dell’area) e così saranno garantiti solo le trasmissioni RAI e probabilmente quelle di Mediaset. Per ricevere gli altri programmi gli utenti dovranno probabilmente dotarsi di satellite. Eppoi c’è la questione degli art. 30 D. Lgs. 177/2005, cioè gli impianti autorizzati agli enti locali (comuni e comunità montane) che dovranno essere disattivati il giorno dello switch-off e riattivati solo al termine dell’intero processo, quando il Ministero avrà verificato la compatibilità con il quadro radioelettrico consolidatosi (in tutte le aree montane ove si è verificato lo switch-off la disattivazione di tali impianti ha creato problemi enormi). Comunque sia, per tali microdiffusori la regione ha riservato un fondo per aiutare i piccoli comuni ad acquistare nuovi trasmettitori DTT, anche se il forzato black-out condurrà comunque molti utenti a dotarsi di ricezione alternativa via sat. Infine, a complicare ulteriormente le cose c’è il Generale Inverno alle porte, che renderà molte postazioni difficilmente raggiungibili in caso di neve e gelo, criticizzando lo spegnimento dei segnali analogici e la contestuale attivazione (sulle nuove frequenze) di quelli in DTT. (G.C. per NL)