Il masterplan dell’AT3 è stato completato e il turn-over frequenziale (per ora) è chiuso. Il file con la colonna degli impianti attuali con a fianco quella delle frequenze su cui dovranno operare secondo il calendario dello switch-off che tra poco più di quindici giorni interesserà Lombardia e Piemonte orientale è passato alla fine della scorsa settimana dalla direzione tecnica del MSE-Com a quella amministrativa.
Da lì involerà dentro le stanze degli organi di indirizzo politico per il timbro di conformità che ne precederà l’ufficializzazione. Ovviamente la maggioranza dei network provider locali già conosce informalmente (qualcuno a fondo, altri a grandi linee) le rispettive, prossime, assegnazioni e ciò in quanto se anche non si sono tenuti concretamente i tavoli tecnici dell’Area Tecnica 3, certamente gli operatori hanno trovato porte aperte alla DGPGSR del MSE-Com per discutere delle specifiche problematiche. Tutto si può contestare, infatti, alla direzione tecnica del dipartimento Comunicazioni del dicastero dello Sviluppo Economico tranne – almeno in questa occasione – di non essere stata disponibile ad ascoltare le doglianze dei singoli operatori e di aver dovuto fare, nel bene e nel male, un lavoraccio. Tutti, pare, dovrebbero aver trovato un posto nell’etere: chi con grandi sacrifici, chi con pochi, chi con nessuno. Ma finché ciascuno non vedrà il quadro d’insieme, cioè quel masterplan che a breve circolerà nelle caselle di posta elettronica (come immancabilmente è stato nelle precedenti occasioni di switch-off), non potrà capire se e quanto è limitata la propria diffusione o quella del proprio amico/nemico. E ciò perché, come più volte scritto su queste pagine, il vero nodo gordiano della migrazione tecnologica televisiva nei territori congestionati dell’AT3 (cioè le province in pianura di Lombardia e Piemonte orientale) è il recupero multiplo della stessa risorsa radioelettrica. E ad aver provocato tale anomalia, più che il numero elevato di operatori attivi (un centinaio), sono state le compravendite di piccoli impianti extrabacino naturale intervenute nell’ultimo anno da parte di emittenti che hanno avuto tutte la stessa pensata: presidiare ristretti lembi territoriali in aree estranee a quelle tipiche (di norma fuori dai propri confini regionali) con l’aspirazione di conseguire appetitose, grasse, assegnazioni. Le quali, però, nella maggioranza dei casi, rimarranno mere illusioni gastronomiche: chi ha acquisito il microimpianto nella provincia più scompagnata dal proprio bacino, difficilmente, infatti, s’abbufferà come sperato. Al più, dovrà rosicchiare una frequenza utilizzabile in un ristretto cono d’ombra territoriale, proiettato in un complicato futuro di sgomitate radioelettriche. Certo, qualcuno che forse riceverà più di quel che ha potrebbe anche esserci, ma certamente per questo non sarà perdonato e/o tollerato dai propri colleghi/concorrenti, che – statene certi – contesteranno davanti ad ogni organismo pubblico utile qualsivoglia ipotesi o percezione di disparità di trattamento. E ciò perché, da sempre, il settore televisivo locale italiano è stato caratterizzato da divisioni (reali) più che da unioni (di facciata) e certamente non modificherà tale atteggiamento in questa delicata occasione. Ora, però, passato il momento della contrattazione, è il tempo dell’attesa. Per capire chi saranno i propri nuovi vicini di casa e per verificare se, come si teme, l’erba degli stessi sarà veramente più verde della propria. (A.M. per NL)