Ad una settimana dalla conclusione dello switch-off in Trentino (è in corso ora la migrazione in Alto Adige) le cose pare non stiano come i proclami istituzionali dipingono. C’è infatti un’altra verità di cui si sa poco, che scorre parallela a quella ufficiale che si vuol, invece, propagandare. A parte i problemi già visti nel Piemonte occidentale degli impianti ex art. 30 D. Lgs. 177/2005 (cioè i microimpianti assentiti agli enti territoriali per illuminare aree disagiate) che potranno essere (ri)attivati solo a switch-off completato dell’intera area tecnica 4 (Trentino e Alto Adige, inclusa la provincia di Belluno) attraverso riallocazioni frequenziali elaborate dall’Ispettorato Trentino Alto Adige e vagliate dalla D.G.P.G.S.R., ci sono anche notevoli problemi socio-economici. Gli anziani, per esempio, per cui la tv è spesso l’unica compagnia, sono in affanno, incapaci di amministrare un’evoluzione tecnologica trattata dal governo con immane superficialità informativa, col solo evidente obiettivo di chiudere i giochi il prima possibile. Poi ci sono gli investimenti economici per l’adeguamento della ricezione tv da parte dei cittadini, che, oltre a dotarsi di decodificatore, in molte aree prima servite dal canale RAI VHF B devono cambiare antenne per ricevere i programmi della concessionaria pubblica in UHF o VHF III. E ancora, utenti che devono far modificare i centralini canalizzati che filtrano ora i canali DTT o che devono, a ripetizione, invocare l’intervento di antennisti e tecnici per programmare e riprogrammare decoder e zapper complicati e assurdi (alla minima pressione su un tasto sbagliato, addio programmazione). C’è infine chi non se ne fa nulla dei supermux Mediaset e RAI (sempre ammesso che arrivino) e semplicemente rimpiange la cattolica Telepace non più visibile. Insomma, costi non previsti ed un’offerta di canali che frastorna e non sempre soddisfa. E passando dagli utenti agli operatori, la solfa cambia poco. Le emittenti (non solo locali) sono alle prese con difficoltà di sincronizzazione dei trasmettitori e di ridimensionamento delle potenze tra impianti contigui (il Single Frequency Network si è, anche qui, dimostrato come una stupefacente tecnologia… di carta), che si riverberano ovviamente sui telespettatori. Di tutto questo, però, non si parla o al più si sussurra. Addirittura le rubriche di posta dei lettori nei quotidiani locali non riportano da giorni alcuna lettera in merito. Possibile? Senza voler parlare di censura, non può sottacersi l’interesse degli operatori dal far trasparire meno problemi possibili, onde non allarmare inserzionisti già scettici a riguardo dell’opportunità di proseguire la trasmissione di campagne pubblicitarie di dubbia efficacia in una fase di start-up tecnologico. Qualcuno insinua che le concessionarie di pubblicità dei giornali e delle radio e televisioni sono le stesse e quindi il velo sulle difficoltà del DTT (o meglio, delle modalità in cui il digitale terrestre è stato introdotto nel nostro paese) trova ragioni di opportunità commerciale. Forse sì o forse no. Intanto, però, si vedono sui tetti sempre più parabole. E qualcosa ciò significherà.