Tutto sbagliato, dall’inizio. Stiamo parlando della gestione dei numeri LCN (logical channel number), la funzione che permette all’utente della tv digitale di disporre di una lista predefinita di canali sul proprio telecomando.
Una faccenda maledettamente importante, al pari dell’assegnazione delle frequenze, perché – nell’attuale condizione (mera progressione dei numeri da 1 a 1000+) – se il programma è associato ad una numerazione tra i primi 30/40 LCN bene, altrimenti le possibilità di frequentazione da parte dell’utente crollano progressivamente (è provato che dopo le prime tre decine il telespettatore generalmente rinuncia alla consultazione della lista). E gli errori commessi nella stesura di una sorta di autoregolamentazione sono tantissimi. Vediamoli. Primo: la trappola dell’alleanza tra nazionali e locali. La spieghiamo con Esopo: “Si radunarono insieme, per andare a cacciare, la pecora, la capra, la giovenca e il leone. Presero un cervo. Nello spartire la preda ciascuno degli altri credeva avere così buona parte come il leone. Ma disse il leone: “Noi divideremo il cervo in 4 parti: la prima deve essere mia, perché è mio il primo onore; la seconda deve essere mia, perché ho la maggior forza; e perch’io ho durata più fatica devo avere la terza parte di razione; chi piglierà la quarta parte non sarà mio amico”. E quando gli altri animali udirono queste parole, così scornati si partirono dal leone, e non ebbero niente della preda”. Fuor di metafora, è per una locale assurdo cercare un accordo con una nazionale, che ha tutto l’interesse all’entropia potendo godere della potenza del marchio di garanzia: prova ne è che i primi sei numeri LCN sono indiscussi e, dal 7 al 20 (e oltre) nei conflitti di attribuzione tra programmi nazionali (pur minori) e contenuti locali, il telespettatore assegna la preferenza ai primi (e i secondi vengono di norma rifilati nel ghetto > di 850 LCN). Finché, pertanto, vi è anarchia, chi ne gode sono i big player, che nel frattempo consolidano le proprie numerazioni. Secondo: la pretesa di regolare le numerazioni su scala regionale è assurda: a parte i litigi di confine, nelle numerosissime e vaste aree di coincidenza di illuminazione tra due stazioni non ortograficamente schermate (per esempio Piemonte e Lombardia o Lazio e Campania), i criteri di determinazione del posizionamento nel segmento di riferimento (ipotizziamo 10-20) sono sempre contestabili. Se si assumono le ultime 3 annualità dei dati Auditel o dei contributi Corecom, si rischia di favorire il nanismo imprenditoriale (per dirla con il Gasparri dell’avvento digitale) o di creare retaggi (cd. “eredità analogica”), facendo vivere di rendita soggetti che per una serie di circostanze hanno avuto la ventura di posizionarsi bene nell’ultimo triennio a dispetto di soggetti che, magari a causa di congiunture negative, avevano avuto momentanee flessioni. Terzo: è un equivoco che il numero LCN debba essere patrimonio dell’operatore di rete, dovendo il medesimo contraddistinguere il contenuto del content provider. Si pensi ad un programma di un fornitore di contenuti superlocale diffuso attraverso più operatori di rete locali. Avrebbe il fornitore superlocale (o nazionale in syndication) differenti numerazioni LCN a seconda delle regioni? Assurdo e limitativo (pensate solo alle guide tv, che prima o poi dovranno riportare i numeri LCN). Non vogliamo però essere di quelli che criticano senza proporre alternative. Perché almeno una soluzione c’è, anche se non gradita ai superplayer, perché azzera la rendita di posizione. Essa, dobbiamo riconoscerlo, è, ancora una volta, stata da tempo individuata dal grande Vecchio della tv: quel Rupert Murdoch che su Sky ha capito prima degli altri che gli LCN rappresentano una formidabile opportunità per classificare i contenuti. Nessuno si sogna di dire che, per i numeri in sé, Sky LCN 120 è meno frequentato di Sky LCN 102, oppure 201 è remoto rispetto a 132, o invece i segmenti 300-399 o 400-499 sono trascurati dall’utente. Se si tematizzasse anche la gestione dei numeri LCN sul DTT si potrebbero creare aree di collocazione dinamica: una stazione che oggi programma sport sa che potrà identificare il prodotto con un LCN, per esempio, compreso tra 200 e 300 (poco importa se è 201 o 230, perché lì l’utente appassionato visiterà tutte le posizioni, fintanto che non ne fidelizzerà alcune); nel momento in cui il content provider decidesse di mutare materia editoriale, dedicandosi, per esempio, alle news locali (o specialistiche), potrà allora migrare, per dire, al segmento dedicato a tale tema (supponiamo 500 +) e così via. Si supererebbero così le beghe da condominio; i player locali e nazionali sarebbero sullo stesso piano; il regionalismo sarebbe neutralizzato, così come sarebbero cancellati i lasciti analogici; il sistema sarebbe dinamico. Adesso la palla è passata ad Agcom, che attivata da una contestatissima proposta di regolamentazione di DGTVi è chiamata ad esprimersi sulle modalità di regolazione della questione. (articolo tratto dall’ultimo numero di Nuove Antenne – periodico dell’associazione di emittenti locali CONNA, in corso di spedizione in questi giorni)