"E’ finalmente arrivato l’accordo sulla numerazione", esultava Ambrogetti, presidente di Dgtvi, l’altro giorno. In realtà non c’è nulla di nuovo e c’è ben poco da trionfare. Almeno per le locali.
E’ accaduto che giovedì i soci dell’associazione Dgtvi, che riunisce Rai, Mediaset, Telecom Italia Media Broadcasting, Frt, DFree e Aeranti-Corallo, hanno ratificato l’idea di luglio dei player nazionali di suddividere a blocchi la lista dei programmi DTT. In verità, sarebbe più giusto dire che le locali hanno subìto la proposta, visto che essa era stata partorita dalle nazionali (come quasi sempre è accaduto nelle autoregolamentazione di settore). Tanto rumore per nulla, dicevamo in apertura: i programmi da 1 a 9, secondo tale prospettazione, niente altro sarebbero che la ricca eredità analogica dei superplayer: ai primi 3 numeri le reti Rai; poi sul 4, 5 e 6 quelle Mediaset, sul 7 e sull’8 i programmi principali di TIMB (La 7 e Mtv) e sul 9 quello di Rete A (Deejay Tv). Dal 10 al 19 troverebbero posto le reti locali sulla base del contestato principio della graduatoria dei contributi Corecom. Seguirebbero dal 20 al 49 i programmi di secondo piano delle emittenti nazionali con una ripartizione per blocchi: canali per l’infanzia, poi generalisti o semi-generalisti, sportivi e infine news oriented. Dal 50 al 90 le tv locali più povere e via via a blocchi alternati tra scartini nazionali e locali fino al canale 300, da dove decorrerebbero i programmi pay. Una soluzione che ha già fatto emergere moltissime voci dissonanti anche all’interno delle singole associazioni firmatarie. E l’universo del no (che rischia di inasprire i già tesi rapporti tra associazioni ed emittenti, furiose per la gestione dei tavoli tecnici pre-assegnazione) è eterogeneo. Non ci stanno le superstation, che oggi occupano i numeri 8 e 9 (qualcuno dice anche il 7); non sono consenzienti le grandi locali, che in diversi casi sarebbero scalzate dalle loro storiche presintonizzazioni per via del posizionamento ottenuto negli anni scorsi nelle graduatorie dei contributi Corecom; non si piegano alla proposta le reti nazionali e locali minori, ghettizzate in periferie che difficilmente saranno frequentate dagli utenti. Ovviamente l’accordo non ha nessun carattere cogente e non impegna nessuno se non i firmatari stessi e per ottenere un provvedimento erga omnes servirà un intervento dell’Agcom, la quale non potrà e vorrà certamente fungere da ratificatore di decisione privatistiche peraltro nemmeno condivise da una parte rilevante dell’universo televisivo italiano. E’ quindi quasi certo che verrà indetta una consultazione per raccogliere le proposte più interessanti che saranno poi vagliate dall’organo di garanzia di tlc.