Non se ne parla sui giornali e sulle tv nazionali. Ma se si digitano su Google le parole chiave: "digitale terrestre, Piemonte, problemi": apriti web!
E, in effetti, a due mesi dall’avvio dello switch-off dell’area tecnica 1 (Piemonte occidentale, corrispondente alle province di Cuneo e Torino) i problemi registrati nelle prime ore sono ancora lì. Molte "valli laterali" sono tuttora oscurate e i tanto strillati interventi immediati del dipartimento delle Comunicazioni del MSE, guidato da Paolo Romani (che alla vigilia del digitale aveva assicurato: "Non lasceremo nessuno senza tv"), sono rimasti sostanziale lettera morta, così come si sono intoppate da qualche parte le promesse di aiuto della Regione (sussurrate da una, digitalmente parlando, ritardataria Mercedes Bresso). Probabilmente si punta sul fatto che molti utenti privati della tv terrestre a seguito dello spegnimento degli impianti ex art 30 c. 1 D. Lgs. 177/2005, con coda di polemiche, oppure di ripetitori minori delle tv locali e nazionali (che hanno tempo sei mesi dall’assegnazione per riattivarli prima di perderli definitivamente), ormai stremati dall’attesa, hanno deciso o decideranno di installare impianti di ricezione satellitari, i cui provider, non a caso, stanno facendo affari d’oro (in verità Sky, più che la semisconosciuta Tivùsat). Ma non solo nelle aree periferiche il bombardamento digitale ha fatto macerie: anche in territori demograficamente rilevanti si contano distruzioni di massa del segnale. Accade infatti che, nonostante in teoria la tecnologia funzioni, nella pratica il single frequency network (cioè la sincronizzazione di trasmettitori DVB-T isocanale operanti su bacini in parte sovrapposti) si infrange su problemi (di norma orografici) che rendono concretamente invisibile il bouquet trasmesso, cosicché l’operatore di rete è spesso costretto a spegnere uno o più trasmettitori sussidiari per la salvezza di quello principale, con l’ovvia conseguenza che intere porzioni del bacino vengono oscurate senza speranza di soluzione. Già, perché, RAI a parte, dalla tecnica SFN non si può (o vuole) derogare, anche se le norme positive di specie lo prevedono, quanto meno per le valli laterali. Pure sul fronte dei contenuti le cose non vanno affatto bene: a parte il problema dei criteri di assegnazione di più multiplex, che hanno determinato un forte sbilanciamento tra soggetti (rectius, disparità di trattamento) censurato con diversi ricorsi (sono certi quelli di Telecupole, TIMB e Retecapri) al TAR o al Presidente della Repubblica, che potrebbero portare clamorose novità (come è stato nel caso Europa 7), molte emittenti locali o reti nazionali minori non hanno le risorse economiche per la ricostruzione della diffusione digitale con una dimensione pari a quella analogica nei sei mesi di tempo assentiti dalla norma. La conseguenza di ciò è che lo squilibrio tecnico-editoriale tra grandi e piccoli operatori si accentuerà in maniera esponenziale a tutto danno, evidentemente, del tanto bistrattato quanto invocato pluralismo. E poi c’è il problema dell’individuazione dei programmi perduti nel mare magnum dei logical channel number, i cosiddetti LCN, una funzione che dovrebbe favorire l’utente permettendo la costruzione di liste predefinite, ma che invece, in Italia, è diventata una nuova angoscia per il telespettatore. Come è stato per quasi trentacinque anni per quanto riguarda i canali tv, l’LCN soffre già di patologie congenite: anziché pianificare preventivamente all’assegnazione la ripartizione, si è deciso (anzi, non si è ancora deciso) di farlo ex post, con la conseguenza che – caso unico in Europa – in Italia i decoder impazziscono di “conflitti di attribuzione” perché più emittenti pretendono la medesima numerazione digitale. Ed essendo quello del conflitto d’attribuzione un effetto collaterale di natura eccezionale, molti costruttori, pur avendo previsto contromisure (come la priorità da parte dell’utente oppure la risoluzione automatica del conflitto attraverso metodologie eterogenee), non la descrivono nel manuale di istruzioni, lasciando il telespettatore all’oscuro del confinamento del programma “non prescelto”. Agcom ha avviato sul logical channel numbering un’istruttoria, ma difficilmente potrà deliberare senza aver tenuto conto degli interessi legittimi dei futuri entranti (i vincitori della gara per il dividendo digitale) e del fatto che la proposta di DGTVi (l’associazione degli operatori di rete che però non rappresenta affatto l’universo televisivo italiano) che ha dato impulso all’intervento del sonnacchioso organo di garanzia nelle tlc puzza di oligarchia lontano un chilometro. Insomma, mentre per Paolo Romani tutto continua ad andare bene, l’utenza ha cominciato ad aprire gli occhi. E siccome il popolo è di norma bue, ma non sulla televisione, i guai digitali riversati sugli utenti attraverso il consueto approccio italiano alle novità rischiano, come una nemesi, di costare molto al governo.