Altro che "tutto bene", come si ostina a proclamare a destra e a manca il viceministro al MSE-Com Paolo Romani. Pochi giorni dopo lo switch-off tutte le magagne su cui avevamo puntato i riflettori da diversi mesi a questa parte stanno trovando conferma.
E tutto nel sostanziale silenzio dei grandi operatori e delle associazioni di categoria (ben si comprende quindi perché gli editori locali siano letteralmente infuriati con diverse di esse). Ed è solo la punta dell’iceberg, perché se pensa a cosa è successo in un territorio orograficamente complesso, ma ancora relativamente tranquillo sul piano radioelettrico, come quello dell’area tecnica 1 (Torino e Cuneo), ben si può sudare freddo pensando a cosa accadrà in Campania e Lombardia, dove addirittura non si ha nemmeno contezza della reale consistenza impiantistica delle emittenti ivi presenti (per via delle croniche difficoltà operative dei locali ispettorati territoriali del MSE-Com). Sulla vicenda piemontese abbiamo dedicato (in forma praticamente solitaria) fiumi di parole su queste pagine e ci fa ora piacere trovare sostanziale adesione da parte di Millecanali che in un puntuale report a firma del giornalista Oliviero Dellerba evidenzia tutti gli errori concettuali e procedurali della migrazione ed i problemi conseguenti, già posti in ampia evidenza da questo periodico. "La prima fase dello switch off nell’area tecnica 1 si è conclusa venerdì mattina 9 ottobre, non senza alcuni problemi", scrive Dellerba in un articolo del 09/10/2009. "Le province interessate (Torino e Cuneo) non hanno più emissioni analogiche (rimangono esclusi gli impianti di Bauda – Santo Stefano Belbo e di Alto che servono aree di altre province) e solo digitali. Epicentro di tutto è ovviamente Torino: sotto la Mole, se un utente è fortunato, arriva a ricevere quasi 300 segnali. Se si escludono doppioni, canali test e di servizio ne restano comunque più di 150. Un bel passo in avanti rispetto alla situazione precedente allo storico passaggio. Ma non tutto è andato liscio. La rosa dei problemi parte a due passi dalla ex Capitale d’Italia. Moncalieri, oltre sessantamila residenti, non è un sobborgo, ma un centro ricco di storia e commercio. Purtroppo ha la sfortuna di essere parzialmente sotto collina e quindi necessita di servizi particolari dal punto di vista televisivo. Realizzare un Sfn concreta a così pochi chilometri di distanza dall’impianto principale (Eremo o Maddalena) è difficilissimo, col risultato che molte emittenti private hanno addirittura preferito spegnere il proprio ripetitore locale. Mediaset ha fatto di più, eliminando Montoso (emissione a due passi dal Monviso con una vista eccezionale) proprio per l’impossibilità di riuscire a gestire i segnali. Chi abita nella zona precollinare di Moncalieri deve quindi sperare o in una forte riflessione dei segnali principali (che in digitale hanno ampliato l’area di servizio) oppure di coprire l’area tramite impianti lontani come La Morra. Altri problemi sono segnalati nelle zone più esposte verso la Lombardia, come il Canavese, o verso la Liguria, come Cuneo. In questi casi i trasmettitori delle zone ancora in analogico irrompono, coprendo il bouquet digitale". Anche la spinosa questione dei numeri LCN (sulla quale riteniamo, senza tema di smentita, di essere stati coloro che hanno fatto maggior grancassa), attenzionata da Millecanali: "Un altro problema, ma a carattere nazionale, viene dal LCN: attualmente a Torino ci sono undici emissioni che pretendono di inserirsi alla posizione 10. Il risultato di tale mancata regolamentazione può essere devastante: i decoder sono studiati per gestire eventuali doppioni o errori di Lcn, ma in numero limitato. A seconda dei casi alcuni tv con ricevitore integrato si spengono o si impallano; in altri i doppioni in eccesso vengono spediti addirittura oltre la posizione mille. Sul Lcn delle locali esistono proposte di normativa: quella che pare maggiormente approvabile favorisce le reti nazionali e stritola le locali (solo dieci di queste, da individuare quasi sicuramente con le graduatorie Corecom, avranno numeri appetibili)". Identiche alle nostre le conclusioni di Dellerba sul comportamento dei maggiori operatori e delle associazioni di categoria: "Le reti nazionali non vogliono usare tre cifre obbligatoriamente come avviene su Sky e le associazioni di categoria paiono deboli su un argomento che vincola il futuro del settore. A Torino alcune emittenti si sono autoriunite per “spartirsi” i dieci posti che vanno dall’11 al 20 ma questa riunione ha già scatenato le ire degli esclusi. Tra questi c’è chi ha spento l’analogico due anni fa e ora non vuole essere “spodestato”. Rimane poi concreto il problema delle valli laterali delle due province: qui storicamente la Rai ha pochi impianti rispetto a Mediaset, affidandosi a ripetitori comunali o delle comunità montane. Questi sono stati tutti disattivati, per il momento, in quanto non inseriti nel masterplan del digitale. Se non verranno riattivati è facile ipotizzare proteste di varia natura da parte di politici, amministratori e cittadini. Non tutti, infatti, hanno voglia di sobbarcarsi il costo di un decoder per Tivusat. Infine, non mancano i problemi tecnici e soprattutto non manca chi tende a fare il furbo, pur senza danneggiare nessuno". Infine, MC si sofferma su un comportamento che, a distanza di trenta anni, continua a caratterizzare il settore radiotelevisivo italiano: "Qualcuno ha invece approfittato della leggerezza dei controlli ministeriali (impeccabili per scoprire emissioni ancora in analogico, meno ferrei su altri aspetti) per cambiare sistema radiante e in alcuni casi addirittura postazione".