"E’ del tutto evidente quanto il passaggio dall’analogico al digitale terrestre sia “chiaro” per gli interessi di Berlusconi. Sotto l’insegna dell’innovazione tecnologica e forte di un’altra legge costruita su misura per lui, il presidente del Consiglio mette a segno due strepitosi risultati".
Inizia così un duro commento reso sul proprio blog dall’ex PM Luigi De Magistris sulla migrazione digitale italiana, che, a suo dire, comporterebbe per il presidente del Consiglio "un consistente guadagno economico per le casse delle sue aziende (sembra, anche attraverso la vendita, con un contributo pubblico, di decoder prodotti da una ditta di famiglia controllata dal fratello Paolo); ed una ulteriore espansione territoriale dell’informazione targata Mediaset. Il conflitto d’interessi di Berlusconi è indiscutibile. Il passaggio al digitale terrestre, avvenuto in Campania il primo dicembre, conferma quanto era già emerso, e quanto accadrà prossimamente, in altre regioni che via via “traslocheranno” dall’analogico al digitale, secondo l’arbitrario calendario stilato dal Ministero delle Telecomunicazioni". Secondo l’europarlamentare dell’Idv "Molte televisioni locali saranno oscurate o costrette ad una programmazione notevolmente ridotta a causa delle nuove frequenze e per una scarsa quantità di contenuti da trasmettere. La legge, per ogni frequenza concessa, impone la creazione di tre canali di trasmissione. La tv che ottiene la concessione ha sei mesi di tempo per triplicare la sua offerta televisiva. E’costretta, quindi, ad acquistare notevoli quantità di produzioni televisive da mandare in onda; altrimenti si vede revocata la licenza che sarà assegnata ad altro soggetto. E allora sorge spontanea la domanda: chi è il maggiore produttore, in Italia, di contenuti televisivi quali film, trasmissioni di intrattenimento, produzioni seriali, fiction? L’editoria locale che per 40 anni, con una regolare concessione statale e ingenti investimenti effettuati, ha svolto un ruolo fondamentale nel panorama informativo, coprendo realtà territoriali ignorate anche dal servizio pubblico, si troverebbe così a dover affrontare costi spropositati per sopravvivere. In Campania, le emittenti locali hanno saputo, solo tre giorni prima del previsto switch-off (spegnimento totale del segnale analogico), di quali frequenze avrebbero potuto disporre. Un tempo brevissimo per attrezzarsi adeguatamente. Mentre alle tv nazionali le frequenze erano note da tempo. Si ritorna così ad un vero e proprio far-west tecnologico dell’etere. Una parte dell’emittenza locale costretta, da sciagurate decisioni governative, ad una guerra di sopravvivenza e dall’altra, gruppi editoriali, ben definiti, che se ne avvantaggeranno. Alla faccia del pluralismo! Le trasmissioni delle piccole emittenti, inoltre, saranno irradiate in ambiti territoriali ristretti rispetto a quelli raggiunti fino a ieri con l’analogico. Una notevole perdita in termini occupazionali ed economici. E’ infine del tutto incomprensibile, quanto in palese violazione dei dettami legislativi, che una legge nazionale entri in vigore ma stabilisca temporalità diverse nella sua applicazione territoriale. Una evidente discriminazione che altera il mercato violando norme precise". "Alcune regioni hanno ancora tre anni di tempo (in Italia il passaggio al digitale si completerà a dicembre del 2012) per adeguarsi alla nuova tecnologia di trasmissione. Un lasso di tempo notevole, stabilito per legge. Intanto, le emittenti che hanno funzionato da “cavie”, fanno già i conti con una crisi dai risvolti preoccupanti", conclude il post di De Magistris.