Digitale terrestre: che succederà agli ascolti a switch-off avvenuto? Il primo quadro disegnato in Sardegna a un anno dalla migrazione

L’unico parametro di riferimento attuale per calcolare l’impatto della migrazione tecnologica sull’audience nel lungo periodo è quanto accaduto in Sardegna, dove la tv è integralmente digitale da un anno.

L’analisi dell’ascolto regionale nell’era digitale, condotta dallo Studio Frasi, di cui è partner e socio fondatore Francesco Siliato, docente universitario, giornalista e membro del Comitato Nazionale Italia Digitale, mostra alcune sorprese. Per esempio, nel periodo omogeneo (01/01-20/09) degli anni 2008 e 2009 hanno perso posizioni Canale 5 (leader analogica con 22,67%, passata al 21,22 in ambiente numerico), Rai Uno, Italia 1 e Rai Tre, mentre hanno guadagnato qualcosa Rai Due e Rete 4. Il digitale non ha portato bene nemmeno alle reti nazionali minori, come La 7 (scesa da 2,49% all’1,75), addirittura superata da Rai 4 (2,21%) e dalla locale Videolina (2,76%) e a un niente da Boing (1,73%), che a sua volta lascia alle spalle Rai Gulp (0,98%). Tutto ciò a fronte di un aumento della diffusione della tv satellitare, che evidentemente ha raccolto i delusi dal DTT, i tecnologicamente pigri e coloro che semplicemente hanno fatto un calcolo di convenienza alla presenza della necessità di sostituire un vetusto impianto d’antenna tradizionale, per un costo decisamente superiore all’installazione della parabola. Ma a prescindere da tali risultati, ciò che – in senso più generale – emerge chiaramente dall’esperienza del digitale sardo è l’importanza per gli operatori di rete di disporre di segnali  forti (a differenza dell’analogico che consente una visione anche degradata, il digitale passa dall’immagine perfetta all’oscuramento), con una distribuzione omogenea e capillare da subito. La perdita di audience causata da un ristabilimento della diffusione progressivo (come di norma è accaduto alle tv locali ed alle reti minori nelle aree sin qui traghettate, cioè Sardegna, Val d’Aosta e Piemonte occidentale) è infatti difficilissima da recuperare. E ciò poiché, in tale fase di temporaneo oscuramento, gli utenti tendono a fidelizzarsi su altri programmi e il refresh dei decoder non ha luogo con frequenza quotidiana (e a volte nemmeno settimanale…), con la conseguenza che implementazioni impiantistiche successive non determinano immediati ritorni di sintonizzazione. A questo quadro fattuale è da aggiungere l’importanza di un bouquet appetibile, che possa stimolare l’utente e di un’accorta associazione dei contenuti con numerazioni LCN non conflittuali con programmi di indubbio maggiore spessore, che inducono l’utente ad assegnare priorità a questi ultimi e il decoder a collocare il programma di seconda scelta in fondo alla lista, dove, con ogni probabilità, verrà consultato con minor frequenza (se Tele Sperduta decide di autoassegnarsi la numerazione LCN 7, sarà certamente in competizione con La 7, ma l’esito del conflitto sarà scontato). Diverse emittenti (non solo in Sardegna) hanno poi preso la fastidiosa abitudine di moltiplicare i medesimi programmi sul singolo bouquet, creando una proliferazione di segnali-fotocopia irritante e per nulla produttiva. Ben più lungimirante è invece la scelta di alcune televisioni locali di scambiarsi l’ospitalità ai propri programmi di punta sui rispettivi multiplexer (in aree ovviamente diverse). Qualche locale ha deciso di sfruttare lo spazio disponibile sul bouquet per veicolare programmi  differiti di una o 24 ore (cd. +1 o +24), sulla base della positiva esperienza di Sky. Ma la validità dell’iniziativa dipende ovviamente dalla qualità del contenuto (differire di un’ora una vendita tv non crea particolare interesse nell’utente…). Chi invece aveva palinsesti incentrati sulle televendite sta velocemente affogando in un circolo vizioso: il programma non è appetibile sul DTT, così determinando cali di audience; la mancanza di ascolto non genera reddito per gli inserzionisti che non rinnovano i contratti, determinando discesa di fatturato alla stazione, che non ha risorse per produrre programmi appetibili dove inserire pubblicità tabellare in sostituzione delle televendite. E così via, a precipitare.

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