Dunque, di DAB, la prima volta se ne è parlato, in Italia, intorno alla seconda metà degli anni ’80. Oltre venti anni fa, quindi. Poi, dopo due lustri di naftalina, nell’ultimo biennio del secolo scorso, si è partiti alla stragrande, con autorizzazioni a termine, sperimentazioni sconclusionate e confusione senza parsimonia.
Questo dalla parte del regolatore e degli operatori. Dalla parte dell’utenza (ricevente), invece, zero assoluto. Vitalità del mercato dei ricevitori da elettroencefalogramma piatto e totale indifferenza del pubblico ancora saldamente legato all’FM. Dall’inizio del millennio si è, in maniera altalenante, tornati sull’argomento e, con analogo esito, sono state tentate altre sperimentazioni. L’unica cosa buona che è stata conseguita, dopo aver buttato al vento milioni di euro, è stato il riconoscimento, più o meno esplicito, del principio della neutralità tecnologica. In pratica: provate i vari formati (DAB, DAB+, DRM, DMB, DAB-S, fmeXtra, HD Radio, ecc.) e vinca il migliore. Un po’ come successe negli anni ’70 con gli standard dei videoregistratori (VHS, Betamax, Video 2000) e sul finire degli ’80 nella guerra tra CD, DAT e Minidisk. Certo che, viste le difficoltà connesse alla migrazione del monoformato digitale televisivo (DVB-T, con derivazione mobile DVB-H), ben si può immaginare cosa accadrà con la radio. Del resto, non ci vuole un genio per capire che finché non si consoliderà sul mercato globale (e non certamente solo su quello nazionale) la tecnologia univoca, ben difficilmente i produttori di ricevitori si lanceranno con convinzione nella realizzazione e distribuzione. Per quanto riguarda poi l’utenza, qualcuno dovrebbe magari riflettere sulle relative reali esigenze. Non pare, infatti, che tra gli ascoltatori regni questa grande attesa di una sostituzione della radio analogica in modulazione di frequenza. Non può poi sottacersi che le esperienze dei paesi europei a riguardo siano state finora molto istruttive a riguardo dei facili quanto finanziariamente tremendi fallimenti in cui si può incorrere introducendo tecnologie non (ancora) richieste. Vedremo quindi come andrà a finire l’ennesimo tentativo di regolamentazione atteso entro l’estate da Agcom. Intanto, però, la radio via Internet è già ascoltata da oltre il 20% degli italiani. Anche in movimento. Ci sorge quindi un dubbio: che la radio digitale sia già arrivata e si sia accomodata senza che i nostri esperti se ne siano accorti? (S.C. per NL)