Prosegue il confronto su queste pagine a riguardo del digitale radiofonico, stimolato da Roberto Squillario.
Dopo l’intervento di Andrea Lawendel e Giovanni Necchi, ospitiamo altri commenti qualificati: quelli del giornalista massmediologo Giovanni Montefusco e di un operatore radiofonico, Franco Pastori.
Come sempre, l’invito è all’ulteriore confronto: [email protected]
Radio digitale o analogica?
Concordo pienamente con le prospettive di Roberto Squillario sul futuro della radiofonia digitale. Che ancora non sia stata intrapresa una scelta risoluta sullo standard tecnologico e di banda da adottare, è cosa purtroppo risaputa. Come avvenne alcuni anni fa per i supporti di registrazione quali dat, dcc, minidisc che per contendersi ciascuno la sua porzione di mercato hanno finito per annientarsi vicendevolmente, la probabilità che ciò avvenga anche per la radiofonia digitale è più che concreta, se non si elaborano soluzioni che siano valide non soltanto sotto il profilo tecnologico, ma anche sotto quello della strategia commerciale per il mercato consumer. Quando nacque la televisione a colori non si ebbero i problemi che incontriamo oggi per la definitiva affermazione di un nuovo standard poiché un importante fattore fu tenuto in considerazione: la compatibilità degli apparati preesistenti con la nuova tecnologia.
Chi non aveva un televisore a colori poteva comunque continuare a ricevere le trasmissioni in bianco e nero ignorando senza alcun problema la sottoportante colore abbinata alla portante principale. Analogamente avveniva con la stereofonia radiofonica (o televisiva). Era ancora possibile ascoltare con un comune ricevitore monofonico le trasmissioni irradiate in stereofonia ricevendo il solo segnale somma e ignorando anche in questo caso la sottoportante differenza multiplex a 19kHz per le trasmissioni
in fm o C-QUAM a 25Hz per le trasmissioni in am. Stesso discorso per i dati digitali del teletext o del radio data system che pure non impediscono la ricezione con apparecchi non equipaggiati alla decodifica. In tutti questi casi lo spettro di frequenza impiegata è sempre lo stesso e soprattutto si è garantita la compatibilità tra apparecchi riceventi di differenti generazioni. Il problema dell’obsolescenza di un dispositivo è per il consumatore un aspetto fortemente condizionante durante la scelta dello stesso. Il consumatore infatti è più propenso a investire il proprio budget in apparecchi che non divengano immediatamente superati. Unica eccezione sembra sia rappresentata dal mercato della telefonia mobile che però è fortemente influenzato soprattutto da fattori di tendenza che inducono a sostituire il telefonino quasi come fosse un abito. Se fosse realizzabile una soluzione tecnologica con cui implementare un protocollo digitale in una tecnologia analogica già esistente, la sua affermazione sarebbe oltremodo scontata come già è avvenuto finora per stereofonia e radio data system. Il settore su cui intervenire dovrebbe essere la ricerca di nuovi algoritmi di compressione che consentano di ottimizzare lo sfruttamento della banda e di far coesistere analogico e digitale in una sorta di simulcast. Resta inoltre da appurare se il vero bisogno di innovare tecnologicamente la ricezione radiofonica sia dettato da esigenze di qualità raffinata dell’ascolto o da problemi nella sintonizzazione di stazioni con segnale interferito. La corsa alla potenza ha alterato la situazione nello spettro radioelettrico al punto che se agli albori dell’emittenza libera erano sufficienti 300 watt per coprire la città di Roma, ora invece ne occorrono almeno 5.000 per una ricezione accettabile. Una pianificazione ottimale dello spettro radioelettrico consentirebbe di migliorare la situazione. Basterebbe che si adottasse la pianificazione statunitense per cui lo spazio tra una frequenza e la successiva è di 200kHz (88.100, 88.300, 88.500, ecc.). In aggiunta a ciò, dovrebbero introdursi criteri per limitare la potenza di trasmissione entro valori che siano effettivamente funzionali al bacino di utenza pianificato. Per citare un esempio, la broadcasting authority di Malta concede licenze a emittenti comunitarie che con potenze di 3 watt coprono un’area del raggio di 4 chilometri.
Tutto ciò è possibile in quanto vi sono porzioni di spettro libere e l’etere è “normalmente” abitato senza che vi siano fenomeni di interferenze reciproche, il tutto grazie a una distribuzione regolamentata delle frequenze tra gli operatori. Per concludere, ritengo opportuna la soluzione tecnologica che consenta di ricevere trasmissioni digitali simultaneamente alle trasmissioni analogiche. Ma siamo davvero sicuri che per il consumatore di elettronica sia di fondamentale importanza una qualità audio digitale che non si differenzia molto da quella analogica?
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Su NL avete pubblicato e commentato i dati di ascolto radiofonici dell’ultima Audiradio. Voi stessi avete (giustamente) osservato che, come al solito, sono cresciute le radio che hanno investito soprattutto in nuove frequenze e (pur in misura minore) in “esposizione mediatica” (vs. parole). Concordo. Anzi, credo si debba, una volta per tutte, prendere atto che anche in questa circostanza la radio non è come la tv. Il digitale non è così sentito dall’utenza, che pare si trovi benissimo con il tradizionale apparecchio FM. Penso, inoltre, che nemmeno l’offerta editoriale sia un aspetto particolarmente sentito dagli ascoltatori. Prova ne è che mentre Sky, con suoi pacchetti specializzati, sta facendo man bassa negli ascolti tv (insidiando il primato della tv terrestre in chiaro), poco o nullo è il successo delle radio tematiche satellitari o su Internet. La radio ha una sua dimensione, completamente diversa, anche sul piano tecnologico. Difficile, con queste premesse, aspettarsi un veloce consolidamento di tecnologie che presuppongono la sostituzione integrale del parco ricevitori. Pensate solo all’amarezza di quei temerari che hanno acquistato ricevitori DAB-T (Eureka 147) che ora sono da buttare con l’avvicendamento del formato DAB+.
Franco Pastori