Il 26 novembre ha avuto luogo l’epocale switch-off della Lombardia. E regolarmente si sono manifestati i problemi sottesi e disattesi, invero con qualche ulteriore, sgradita, sorpresa.
Sulla modalità di attribuzione dei diritti d’uso temporanei per le frequenze digitali ci siamo già spesi largamente, per cui non resta che attendere gli sviluppi delle verifiche della magistratura. Sull’incapacità delle istituzioni di informare l’utenza in maniera trasparente e compiuta, al di là di spot promozionali sui vantaggi del DTT, c’è poco da dire: il disastro dei milanesi alle prese con sistemi d’antenna centralizzati e filtrati che rendono irricevibile fino al 20% delle frequenze è esauriente. Quel su cui, invece, si può discutere è l’ennesimo intruglio amministrativo di cui proprio non si sentiva la necessità: le modalità di assegnazione degli identificatori LCN da parte del dicastero di Paolo Romani dimostrano che quando si tocca il fondo si può sempre scendere scavando. Soprassedendo sulla ipometropia di editori locali che esultano per l’attribuzione di numeri che gran parte dell’utenza mai frequenterà (è noto che i più pigeranno tasti non oltre i numeri 30 o 40), va detto che decine di nuovi fornitori di servizi di media audiovisivi, che faticosamente avevano coltivato e incentivato lo sviluppo del DTT investendo in vista dello switch-off, sono stati puniti con l’esclusione dalle liste di attribuzione a vantaggio di prodotti neri di emittenti locali che hanno fatto incetta di numeri presumibilmente da vendere con calma poi (come si fece nel 1990 censendo i famosi canali “di carta”). Il super switch-off dell’AT3 sarà quindi ricordato come l’ennesima vittoria dei furbi e degli amici degli amici. Complessivamente, un’altra occasione sprecata e la conferma che in Italia, gira e rigira, si cambia per lasciare tutto uguale.