Non ci sarà il carcere per chi diffama e la sanzione massima sarà di 50 mila euro. Per quanto riguarda la rettifica online, questa riguarderà solo le testate giornalistiche e gli articoli che vi saranno pubblicati. Nessun obbligo di rettifica, invece, per i commenti.
Un interminabile scontro al Senato sul ddl diffamazione (presentati 138 emendamenti), poi, in serata la maggioranza trova un’intesa: non ci sara’ il carcere per chi diffama e la sanzione massima sarà di 50 mila euro. Per quanto riguarda la rettifica online, questa riguardera’ solo le testate giornalistiche e gli articoli che vi saranno pubblicati. Nessun obbligo di rettifica, invece, per i commenti. Nato dalle penne ‘bipartisan’ di Vannino Chiti (Pd) e di Maurizio Gasparri (Pdl) per evitare il carcere al giornalista Alessandro Sallusti, il testo si e’ andato ‘arricchendo’ via via di norme, una piu’ spinosa dell’altra, che, come ammette il responsabile Giustizia dell’Idv Luigi Li Gotti, ”sono difficili adesso da esaminare e poi in tempi cosi’ rapidi”. Risultato: dopo l’illustrazione degli emendamenti, la seduta d’Aula viene sospesa per consentire a tecnici e capigruppo di arrivare ad un’intesa. L’intenzione, spiega il presidente dei senatori del Pdl Gasparri, e’ di non far tornare il testo in commissione, come era stato chiesto da alcuni senatori anche del centrodestra, ne’ di ‘stralciare’ il ‘no’ al carcere per i giornalisti che diffamano, perche’ su questo il Pd sembra sia stato irremovibile. Tecnici e capigruppo decidono, così, di mettersi intorno ad un tavolo per vedere di ‘salvare il salvabile’ e di mettere a punto un testo ”piu’ snello ed agile grazie agli emendamenti che sono stati presentati”. Come spiegheranno a margine della riunione Gasparri e il presidente dei senatori Pd Anna Finocchiaro. Ma mentre il Pd si divide tra ‘innocentisti’ come Vincenzo Vita (”se il testo resta così non lo voto”) e ‘colpevolisti’ come Alberto Maritati (”si parla di reati quindi e’ giusto prospettare il carcere”), e al Senato si cerca di trovare una soluzione, fuori dal Palazzo continua a infuriare la polemica. Il vicepresidente del Csm Michele Vietti solidarizza con i magistrati della Cassazione per le ”critiche inaccettabili nei toni” che gli sono piovute ancora oggi da Sallusti. Mentre il presidente della Fieg Giulio Anselmi ‘bolla’ il ddl come un insieme di norme ”assurde e pericolose” che ‘‘possono condizionare la sopravvivenza di molti giornali e rivelano un assoluto disprezzo per la liberta’ di stampa”. Per il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Jacopino, infine, si tratta di un provvedimento che ”e’ ben piu’ di una legge bavaglio: e’ una pistola permanentemente puntata alla nuca” dei giornalisti. Sul ddl, intanto ‘fioccano’ ben 138 emendamenti. Tra i piu’ significativi, quello di Lucio Malan (Pdl) che di fatto impedisce di scrivere contro la Casta chiedendo condanne per chi parli male di Parlamento e istituzioni. O quello del Pd che chiede di sopprimere la norma che prevede la restituzione al governo dei contributi pubblici all’editoria, in caso di condanna per diffamazione. O quello, ancora, che impedisce ai conviventi di chiedere la rimozione dai siti internet di immagini e dati lesivi nel caso in cui sia morto il ‘diffamato’. L’Udc e il Pd sono per ridurre la sanzione pecuniaria dai 100mila ai 50mila euro. Mentre il Pdl vorrebbe estendere l’obbligo di rettifica on line non solo alle testate giornalistiche, ma anche ai blog o ai siti ”che contengono informazioni pubblicitarie”. Le proposte di modifica che puntano a cancellare l’Ordine dei giornalisti, firmate dai senatori Radicali del Pd Donatella Poretti e Marco Perduca, invece vengono dichiarati inammissibili. Decisione che scatena la protesta della Poretti che da oggi minaccia di astenersi ”su qualsiasi votazione”. Ma alla fine, il ”vero tentativo di conciliazione” e’ quello che tenta Li Gotti appellandosi di nuovo al Capo dello Stato. ”Se Napolitano concedesse la grazia a Sallusti sarebbe tutto risolto – dichiara in Aula – ed eviterebbe a noi l’imbarazzo di legiferare su temi così delicati in così poco tempo. Perche’ voi del governo – e’ l’invito che fa ai ministri presenti al Senato – non vi impegnate a chiederglielo?”. Alla fine, in extremis, si trova l’intesa.(ANSA)