Diffamazione: Bruno Vespa risarcito dal Gruppo Espresso

Il giudice civile non può comminare la sanzione pecuniaria. Il direttore di “Venerdì” non sostituisce il direttore responsabile del quotidiano “la Repubblica”


dalla newsletter del sito Franco Abruzzo.it

Roma, 9 agosto 2007. Bruno Vespa ha diritto a ricevere dal ‘Gruppo editoriale l’Espresso’ diecimila euro come risarcimento danni da diffamazione per un articolo comparso sul ‘Venerdi’ di Repubblica’ – nel 1997 – nel quale veniva criticato per avere un atteggiamento benevolo nei confronti di ‘tangentari’ amici di sua moglie, il magistrato Augusta Iannini. Lo ha deciso la Cassazione civile (sentenza 17395) che ha confermato, per quanto riguarda la liquidazione del danno all’immagine, il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Roma nel 2002. I supremi giudici hanno, invece, annullato (ed è una svolta rilevante, ndr) la sanzione pecuniaria penale di circa cinquemila euro, inflitta alla casa editrice, in quanto il giudice civile non poteva comminarla. La Cassazione ha inoltre totalmente escluso ogni responsabilità dell’allora ”direttore” del magaz ine ‘Venerdi”, Paolo Garimberti, sottolineando che il ”direttore responsabile della testata” era Ezio Mauro. In proposito Piazza Cavour avverte: ”il direttore che, come spesso avviene nella prassi, si affianca al direttore responsabile senza sostituirlo o assumerne le funzioni non è responsabile per i danni dipendenti dalla pubblicazione di articoli diffamatori, non essendo titolare di quei poteri di controllo e di sostituzione degli articoli ai quali la legge collega la fattispecie risarcitoria del direttore responsabile”. Senza successo, in Cassazione, i legali del gruppo ‘l’Espresso’ hanno contestato il fatto che Vespa ”non abbia fornito alcuna prova di avere subito un sia pure minimo disagio morale”, a seguito dell’articolo incriminato, avendo – anzi – ”scritto e pubblicato con grande successo numerosi libri continuando anche ad a pparire in televisione; aspetti questi incompatibili con un danno all’immagine”. Gli ‘ermellini’ hanno replicato che il risarcimento ”mediante la dazione di una somma di denaro non reintegra una diminuzione patrimoniale, ma compensa un pregiudizio non economico”. (ANSA). NM 09-AGO-07 16:15

Perché questa sentenza è importante per giornalisti ed editori.

Una “gabella” in meno.

L’articolo 11 (Responsabilità civile) della legge 47/1948 sulla stampa afferma che “Per i reati commessi col mezzo della stampa sono civilmente responsabili, in solido con gli autori del reato e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore”. Il successivo articolo 12 (Riparazione pecuniaria) afferma a sua volta che “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 185 del Codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”. I giudici civili (dei Tribunali, delle Corti d’Appello e anche della Cassazione) hanno sempre inflitto ai giornalisti (direttori ed articolisti) e agli editori non solo il “costo” del risarcimento dei danni quant’anche la riparazione pecuniaria. La Cassazione civile oggi spiega che quella “gabella” non può essere comminata dai giudici civili: è un potere esclusivo dei giudici penali. Una svolta importante, che addolcisce la vita dei cronisti. (Fr. Ab.)

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