Con sentenza n. 40408 del 16 ottobre 2009, la Corte di Cassazione penale, oltre ad affermare l’innocenza di una giornalista imputata di diffamazione, ha anche avuto modo di valorizzare il ruolo cruciale svolto dalla stampa nella società democratica al fine di informare il pubblico sul funzionamento del sistema pubblico.
La vicenda ha riguardato un articolo pubblicato sul “Giornale di Sicilia” in cui si riferiva che il Presidente dell’Istituto autonomo case popolari di Catania avrebbe invitato i dipendenti dell’Istituto a tenere un atteggiamento ostruzionistico nei confronti di alcuni ispettori inviati dal Ministero del Tesoro. La giornalista imputata di diffamazione aveva accostato, nel pezzo pubblicato, alcuni fatti dai quali essa desumeva tale atteggiamento da parte dell’amministratore. In particolare, l’imputata aveva accostato la notizia della intervenuta ispezione ministeriale a carico dell’Istituto con quella della sospensione dell’attività ispettiva dovuta all’impossibilità da parte degli ispettori di ottenere dagli impiegati la documentazione che loro necessitava, e con l’invito del Presidente dell’Istituto a che la richiesta di documenti fosse filtrata e avesse come interlocutori i dirigenti e non gli impiegati. Mentre la parte civile ed il Procuratore Generale hanno sostenuto nelle loro difese che la lettera-invito del Presidente dell’Ente fosse volta a mediare e sbloccare la situazione di stallo (mancanza di documentazione richiesta dagli ispettori), la giornalista aveva invece, nel proprio articolo e secondo una sua personale interpretazione, sostenuto che la missiva avesse legittimato ed incrementato gli ostacoli incontrati dagli ispettori. La Suprema Corte sul punto ha richiamato alcuni principi giurisprudenziali in materia di diffamazione, ossia che la critica “che si manifesti attraverso la esposizione di una personale interpretazione ha valore di esimente … senza che possa pretendersi la verità oggettiva di quanto rappresentato” e che la critica “costituisce attività speculativa che non può pretendersi asettica e fedele riproposizione degli accadimenti reali ma, per sua stessa natura, consiste nella rappresentazione critica di questi ultimi e, dunque, in una elaborazione che conduce ad un giudizio che, in quanto tale, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, siccome espressione del retroterra culturale e politico di chi lo formula”. Secondo la Corte di legittimità dunque la giornalista imputata avrebbe “offerto una sintesi ed una interpretazione, personali ma dotate di una propria razionalità e quindi giustificabili, di fatti – veri – caduti sotto la sua percezione”. Le missive inviate dal Presidente dell’Ente, che contenevano l’invito rivolto ai dirigenti a collaborare con gli ispettori, e a questi ultimi, a rivolgersi ai dirigenti, hanno, secondo la Suprema Corte, “legittimato una lettura che non può definirsi come "oggettivamente falsa" ma è il frutto di una critica da parte della giornalista la quale ne ha offerto una illustrazione e una giustificazione che la rendono non censurabile alla stregua dei principi (in materia di esercizio del diritto di cronaca e di critica n.d.r.) posti dall’art. 51 cp, e 21 Cost.”. Infine il Supremo Collegio ha sottolineato, facendoli propri, anche alcuni principi già affermati in materia dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ossia che “la libertà giornalistica possa comprendere il ricorso ad una certa dose di provocazione sempre che le espressioni utilizzate dal giornalista non scivolino in insulti e non siano giudicate gratuitamente offensive, avendo piuttosto una connessione con la situazione che l’interessato analizzava” e che la stampa svolge “un ruolo cruciale nella società democratica anche nell’informare il pubblico del funzionamento del sistema pubblico”. Tali principi devono secondo la Corte di legittimità essere estesi anche “alla attività giornalistica riguardante ogni apparato del potere pubblico, compreso quello amministrativo in generale per la sua rilevanza e capacità di coinvolgimento degli interessi dei privati”. (D.A. per NL)