“La posizione della Camera alta in merito alla diffusione di articoli anti-islamici, scaricati da un sito iraniano, era che la camera alta approvava la persecuzione di tali atti da parte della magistratura. La natura della sentenza, considerata l’indipendenza della magistratura, dovrebbe poi spettare al tribunale responsabile. Si tiene tuttavia conto dei diritti dell’imputato, come il diritto ad avere un avvocato difensore, il diritto all’appello e altri diritti legali. In questo senso la conferma della sentenza capitale, nella delibera pubblicata recentemente e proveniente dalla Camera alta è stata un errore tecnico”. Con queste parole, contenute in una nota ufficiale diffusa dal segretario del Senato afgano, Aminuddin Muzafari, il governo di Kabul fa dietrofront nella vicenda che riguarda Sayed Pervez Kambaksh, giornalista afgano condannato a morte per aver diffuso materiale “blasfemo”, inneggiante alla parità dei sessi e offensivo nei confronti di Maometto, e già condannato in primo grado. La campagna di raccolta firme del quotidiano filo-laburista inglese, “The Independent” (giunta a 38 mila firme), le pressioni internazionali provenienti da ong, organizzazioni pacifiste e comitati per la libertà d’espressione di tutto il mondo, hanno avuto i proprio frutti. A diffondere oggi la notizia, lo stesso quotidiano britannico sulla prima pagina del proprio sito, sottolineando, però, come il processo sia ancora in corso e la nota diffusa dal Senato non abbia alcun valore legale. Simbolico sì, però, perché il pronunciamento degli uomini di Karzai lascia presagire uno qualcosa di più di uno spiraglio per le speranze di Sayed, che per adesso si trova ancora in carcere. La famiglia del giornalista, per bocca del fratello maggiore (anch’egli giornalista sgradito ai potenti afgani), fa sapere, intanto, di aver accolto con gioia la notizia, e di essere fiduciosa per una felice soluzione della vicenda. Si attende, ora, il processo d’appello. Qualora fosse confermata la condanna alla fine dei tre gradi di giudizio, Sayed potrebbe, comunque, chiedere la grazia al presidente Hamid Karzai, che non avrebbe altra opzione che concedergliela. Per non scatenare le pericolose ire della comunità internazionale. (Giuseppe Colucci per NL)