dalla newsletter del sito Franco Abruzzo.it
Gentil.mo Dott. Abruzzo, sempre sulla lunga storia dei pubblicisti, mi sembra che la questione della “i” non possa assurgere a discrimine con i professionisti, come si evince dalla lettura dell’art. 26 della L.P. Peraltro, subito dopo la legge, a definire ogni questione ed a dichiarare costituzionalmente illegittima ogni discriminazione fra le due categorie, c’è stata la sentenza n. 98 del 1968 della Corte Costituzionale, che ha abrogato la disposizione che escludeva che un pubblicista potesse ricoprire la carica di direttore, o vice direttore, di un quotidiano. Proprio su tale decisione i pubblicisti hanno puntato le loro rivendicazioni che, col passare degli anni, hanno formato oggetto delle disposizioni del collettivo. Peraltro, la professione di giornalista ha proprio ad oggetto l’attività giornalistica ed i pubblicisti, come Lei ben sa (avendo iniziato la sua professione come pubblicista redattore della Rai – ho le sentenze del Pretore, Tribunale di Milano e Cassazione), fin dagli anni “60, l’hanno esercitata di fatto. Ma la “colpa” di questo è da attribuire proprio agli Editori che, per sfuggire all’obbligo di assunzione di praticanti futuri redattori (con tutti gli oneri retributivi e contributivi), fin da quegli anni hanno letteralmente “sfruttato” i cosi detti “collaboratori esterni” pubblicisti, impiegandoli come redattori e responsabili di redazioni distaccate (ad es. la redazione di Viterbo de “Il Tempo” è stata gestita, per anni, da quattro pubblicisti tutti aventi un impiego pubblico, ed agli stessi, sotto il mio patrocinio, a seguito di sentenza dell’allora Pretore del Lavoro di Viterbo confermata dal Tribunale, è stato riconosciuto l’inquadramento ed il trattamento retributivo del redattore).
Si aggiunga che moltissimi giovani così detti “collaboratori esterni” per poter iniziare la loro professione di giornalista hanno dovuto subire la volontà degli Editori, che li hanno costretti ad iscriversi all’Albo Elenco Pubblicisti, per far risultare una attività occasionale, ma poi usandoli come veri redattori presso le redazioni distaccate (allora chiamate dagli editori “uffici di corrispondenza”: con la conseguenza che il responsabile era chiamato “corrispondente” ed i redattori semplici “collaboratori”). E queste non sono chiacchiere ma vera realtà sperimentata dal sottoscritto che, negli anni, ha fatto riconoscere, da Tribunali e Corti d’Appello, le effettive mansioni di redattori e capi servizio svolte da tali pretesi “collaboratori saltuari esterni” (così chiamati ed inquadrati dagli editori).
Infine, da circa quarant’anni a questa parte, ho sempre letto e riletto, con i consueti scrupolo ed attenzione, l’art. 36 del ccnlg. Anzi, ne ho seguito, passo passo, l’evoluzione, l’involuzione (il ccnlg 1979/1981 riconobbe, addirittura, le duplicità professionali ed occupazionali a tempo pieno, subito eliminate dal successivo) e la definizione attuale. Ed infatti, proprio con riferimento al testo in vigore dal 1990, ho provveduto a far iscrivere tanti pubblicisti, che di fatto svolgevano mansioni di redattori presso redazioni succursali, con la prevista procedura, presso i Consigli regionali (dell’Abruzzo, del Lazio e delle Marche), in applicazione del secondo comma dell’art. 36: tutti, poi, hanno affrontato e superato l’esame professionale (dimostrazione del fatto della perfetta acquisizione della adeguata professionalità). Anche qui, il discorso sarebbe lunghissimo, e pertanto mi richiamo a quanto già detto. Nel ringraziarLa, ancora una volta, per l’attenzione, Le porgo fervidi auguri per le prossime festività
Massimo Franceschelli
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Gianni De Felice: Come si può legittimamente praticare una professione senza sostenere l’esame di Stato?”
Mittente: “Gianni De Felice”
Destinatario: “Francesco Abruzzo”
Data: 12/12/2007 11:31 AM
Caro Franco, rientrato dalle vacanze ambrosiane ti rispondo con comodo sulla disquisizione dell’avv. Franceschelli, osservando brevemente che:
1) non vi è chiarito come si possa legittimamente praticare una professione senza sostenere l’esame di Stato di idoneità espressamente previsto dalla Costituzione e dalla nostra legge vigente;
2) non vi è riconosciuta la distinzione professionale che il Legislatore ha voluto invece sottolineare, qualificando diversamente gli iscritti all’Ordine e separandoli “nei rispettivi elenchi dell’Albo”;
3) non è spiegato perché molti per fare i giornalisti debbano svolgere un praticantato, sostenere un esame di Stato e vincolarsi a una “esclusività professionale”, mentre moltissimi altri – legibus soluti – possano sottrarsi a queste superflue formalità.
Ritenendo concluso – anche se non risolto – l’argomento, caro Franco, permettimi di ringraziare tutti coloro che mi hanno onorato della loro attenzione, intervenendo in questa discussione, e di confessare che mi è sempre un po’ complicato spiegare ai colleghi stranieri, quando me lo domandano, che cosa vuol dire “pubblicista”; una qualifica frequentemente confusa, anche in Italia, con quella di “pubblicitario”. Forse dobbiamo attendere la completa integrazione europea perché anche da noi, come nel resto del mondo libero, ci siano semplicemente i giornalisti e, senza qualifiche e tesserini, i cittadini che – grazie alla libertà di parola, da noi chiamata Art. 21 – si offrono di scrivere o vengono invitati a scrivere sui giornali per specificità di competenze, conclamata superiorità culturale, vasta notorietà, occasionalità varie.
Un caloroso augurio di Buone Feste a te, a tutti i colleghi e, naturalmente, all’avv. Franceschelli.
Ti abbraccio. Gianni
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Franco Abruzzo: “Ne so qualcosa. Sono stato il primo praticante d’ufficio della storia”
Caro avvocato Franceschelli, caro Gianni, ne so qualcosa dei pubblicisti redattori. Sono stato uno dei primi assunti con l’articolo 36 Cnlg a “Il Giorno” (era il 1967). L’articolo 36 allora prevedeva una retribuzione pari al 70% di quella del redattore professionista. Poi infatti ho sostenuto con successo l’esame di Stato una volta iscritto d’ufficio dal Consiglio dell’Ordine di Milano: sono il primo praticante d’ufficio della storia.giornalistica. La lettura dell’articolo 36 suggerisce una interpretazione diversa. Il redattore pubblicista è un praticante pagato da professionista. L’articolo 36, infatti, ha consentito una ampia sanatoria. I pubblicisti-redattori devono affrontare l’esame di Stato: è una condizione che il Cnlg impone. C’è bisogno anche del consenso del datore di lavoro. I guai con la Cassazione nascono proprio da quella “i”. Ha ragione De Felice: “Come si può legittimamente praticare una professione senza sostenere l’esame di Stato?”. Non si dimentichi che la legge 69/1963 disciplina la professione di giornalista. .e sono professionisti soltanto coloro che superano l’esame di Stato. Cordialità e Buone Feste,
Franco Abruzzo
Nota/ Come presidente dell’Ordine di Milano per ben 18 anni, ho firmato almeno 3mila delibere di praticantato d’ufficio e/o di retrodatazione, conseguendo splendide vittorie nei tribunali lombardi e non solo.