Lo si ripete troppo spesso e fino alla nausea che “certe cose succedono solo in Italia”, ma, andando ad indagare bene, ci si accorge che, purtroppo, è proprio così. Ed il caso dell’emittente televisiva Europa 7 è piuttosto emblematico di questa “tendenza”. Europa 7, emittente virtuale (nel senso che non ha mai trasmesso) “fondata” da Francesco Di Stefano, infatti, è probabilmente l’unico caso al mondo di emittente televisiva in possesso di una regolare concessione in ambito nazionale (sulla cui attuale vigenza qualcuno nutre dubbi) per trasmettere, ma priva di frequenze per farlo (per inciso, se veramente avesse voluto far tv, Di Stefano gli impianti avrebbe potuto acquistarli come hanno fatto tutti gli altri operatori, stante l’impianto legislativo italiano in materia…). Le strampalate (e tipicamente italiane) ragioni di questo paradosso risalgono al 2002, allorché la Corte Costituzionale, con la sentenza 466/2002, sentenziò il divieto di possedere più di due emittenti televisive che trasmettessero in analogico, dando come limite massimo per cessare le trasmissioni il 31 dicembre 2003. Morale: Mediaset avrebbe dovuto cedere gli impianti (frequenze) di Rete4, facendola traslocare sul satellite, affinché le frequenze da essa occupate potessero essere ridistribuite (e nella fattispecie assegnate agli aventi diritto, tra i quali la concessionaria Europa 7). Campa cavallo. Infatti, nel 2003, giunse sull’emittenza nazionale italiana il ciclone del d.d.l. Gasparri, che introduceva la trasmissione in tecnica digitale terrestre e permetteva, in nettissimo contrasto con la decisione della Corte Costituzionale, a Rete4 di continuare a trasmettere in analogico terrestre. La legge, dopo il primo esame, fu rimandata alle Camere da parte dell’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi; rinvio, tuttavia, che non sortì alcun effetto pratico, considerata la successiva approvazione finale, avvenuta a dispetto delle indicazioni della Consulta. Ad oggi, Di Stefano, novello don Chisciotte, continua la propria battaglia legale (che ormai appare una guerra di princìpi che ben pochi effetti pratici porterà…) per far sì che la propria concessione venga validata dalla sostituzione on air di Rete4 con l’emittente Europa 7 (facendo appello, nel 2005, alla Corte di Giustizia Europea, ha chiesto un risarcimento di 3 miliardi di Euro allo Stato per la mancata attività televisiva); battaglia completamente ignorata dal sistema mediatico italiano (all’estero, specie in Germania dal Frankfurter Allgemeine Zeitung, è stato dato molto più spazio alla vicenda) e resa nota soltanto dai soliti Grillo, Travaglio, Dario Fo e Franca Rame. Negli ultimi mesi, tuttavia, si è registrato un interessamento alla vicenda da parte del ministro Gentiloni (che l’ha, perlomeno, riconosciuta come questione irrisolta) e del ministro Di Pietro (altro uomo di “princìpi” che sarebbe risultato gradito a Miguel de Cervantes), che ha iniziato una vera e propria crociata (dallo scarso risalto e rilievo pubblico, invero) a favore di Europa 7. Si è mosso (si fa per dire) qualcosa negli ultimi giorni, tant’è che il ministro per le Infrastrutture ha annunciato di aver preso “positivamente atto della volontà del Governo di voler risolvere la vicenda di Europa 7”, ed ha continuato: “Gli emendamenti presentati dall’Italia dei Valori e da una serie di forze politiche della maggioranza non incontrano ostacoli di legittimità costituzionale e la loro approvazione è anzi l’unico modo di adempiere alla legalità costituzionale e agli obblighi comunitari”. Terremo i nostri lettori aggiornati sulla vicenda, anche se è probabile che Europa 7 non vedrà mai la luce, poiché, stante il vigente ordinamento giuridico, chi vuol trasmettere le frequenze (rectius, gli impianti) se li deve comprare. L’hidalgo italiano è avvertito (nuovamente). (Giuseppe Colucci per NL)