Spotify ha 100 milioni di utenti paganti per fruire della musica online (per complessivi 1,38 miliardi di euro) e 123 della versione free, sostenuta dalla pubblicità (126 milioni, + 24% rispetto al 2018). E non si pensi che siano solo ragazzini quelli che ne fruiscono: il trend segna un progressivo innalzamento delle fasce d’età. Due milioni di nuovi abbonamenti, poi, sono arrivati a febbraio grazie all’ingresso del servizio di streaming on demand in India, a dimostrare che il SOD entra in un nuovo mercato, lo fa col botto.
Contemporaneamente, le perdite si sono ridotte da 169 mln a 142 mln e secondo gli analisti è lecito ipotizzare che la piattaforma inizierà ad andare in territorio positivo forse già poco dopo il 2022.
A traghettare utenti sono soprattutto gli smart speaker – al punto che Spotify regala i Google Home Mini ai nuovi abbonati al piano famiglia – ma anche le piattaforme televisive di streaming video on demand, come Hulu, il cui abbonamento SVOD è offerto insieme a quello del servizio di streaming di musica on demand a 9,99 euro/mese.
Non solo, a seguito di un accordo con Samsung, Spotify è precaricata sui telefoni del colosso coreano e per chi acquista l’S10 c’è un abbonamento di 6 mesi con l’offerta premium della società di Daniel Ek. L’icona di Spotify campeggia inoltre su tutti i dashboard delle auto interconnesse e se non lo è, ai cruscotti ci arriva con i mirrorlink degli smartphone.
Ma Spotify punta non solo alla musica, ma anche a presidiare il mercato dei contenuti extramusicali in diretta concorrenza con la Radio, sfruttando l’opportunità dei podcast, che, stoltamente, gli editori radiofonici stanno sottovalutando.
Dopo aver acquistato per 308 mln di euro Gimlet Media e Anchor FM a febbraio 2019, Spotify a marzo ha rilevato Parcast per 50 mln di euro. Il motivo: i podcast sono la nuova frontiera della pubblicità grazie alle potenzialità di misurazione, targeting e reporting.
Un errore, quello dei radiofonici, che si somma ad un’altra clamorosa errata valutazione: che la gratuità dell’ascolto via etere costituirà ancora a lungo un vantaggio competitivo per la Radio. Sbagliatissimo: chi ha un cellulare con tariffa flat ha tutto l’interesse a sfruttare i GB a disposizione, che altrimenti butterebbe via, mentre le compagnie telefoniche, non potendo scendere sotto certe soglie di abbonamento (tendenzialmente tra 6 e 10 euro/mese) possono solo allettare gli utenti attraverso offerte integrative. Quasi sempre legate ai contenuti audio, cioè antagoniste a quelle radiofoniche.