Gli interventi sul disegno di legge delega relativo alla riforma dell’editoria si rincorrono. Per tentare una ricostruzione occorre partire dai punti controversi del testo, che ha suscitato polemiche e critiche rimbalzate dal popolo dei blog per giungere addirittura oltre i confini nazionali (per tutti, ne ha parlato anche il Times nella sua edizione on-line lo scorso 24 ottobre, etichettando la proponenda riforma come un “assalto degli anziani al mondo dei blogger”).
La proposta del sottosegretario all’editoria Riccardo Franco Levi, giace alla Commissione Cultura della Camera dal 24 ottobre, in attesa delle modifiche di cui lo stesso Governo si è fatto promotore per addolcire la pillola ai diari della rete.
Il mondo della blogosfera si è adirato essenzialmente su due punti nodali della norma: la nuova definizione di prodotto editoriale e di attività editoriale, entrambe connesse agli obblighi che ricadrebbero sui soggetti coinvolti.
L’art. 2 del ddl definisce “prodotto editoriale” quello “contraddistinto da finalità di informazione, di formazione, di divulgazione, di intrattenimento, che sia destinato alla pubblicazione, quali che siano la forma nella quale esso è realizzato e il mezzo con il quale esso viene diffuso”. La definizione esclude espressamente esclusivamente i prodotti editoriali destinati alla sola informazione aziendale, anche se ad uso pubblico e prodotti discografici o audiovisivi.
Proseguendo con quella di “attività editoriale” rilevante ai fini dell’applicazione dell’ emananda riforma, l’ambito è decisamente omnicomprensivo, includendo anche l’esercizio di iniziative senza scopo di lucro organizzate in forma non imprenditoriale. I “blog”, così stando le cose, rientreranno tra le attività editoriali per le quali sarà necessario iscriversi presso il ROC (Registro degli Operatori di Comunicazione) tenuto dall’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Si obbligheranno, dunque, i “blogger” ad uno stuolo di adempimenti burocratici (oltretutto dai costi non certo trascurabili), che inevitabilmente tenderanno a ridurne la presenza, o quanto meno a snaturarne l’originaria vocazione. I responsabili di questi spazi d’informazione off shore assurgeranno ad un ruolo che tradirà la loro stessa filosofia. Il blog nasce come diario della rete dove ognuno può in tutta libertà, assumendosi la piena responsabilità di quello che scrive, esprimersi. La riforma, però, andrà ad incidere, allo stato attuale dei fatti, anche su altre questioni. Difatti, l’art. 7, statuendo che l’attività editoriale su internet (ecco un’ulteriore finestra che configurerebbe la “blogosfera” come soggetto interessato al riassetto dell’intero settore) “rileva anche ai fini dell’applicazione delle norme sulla responsabilità dei reati commessi a mezzo stampa”, accollerà al blogger, attualmente ritenuto semplicemente responsabile civilmente e penalmente di quanto scrive, l’aggravante della diffusione a mezzo stampa.
Per completezza, c’è a aggiungere che il sottosegretario Levi pare abbia puntualizzato in Commissione una modifica al testo, consistente nell’ aggiunta al citato art. 7, come licenziato dal Consiglio dei Ministri, di un ulteriore comma. Se questo emendamento fosse approvato si affermerebbe l’esclusione dall’obbligo d’iscrizione al ROC (adempimento che in sostanza rappresenta proprio il pomo della discordia) “dei soggetti che accedono o operano su Internet per i prodotti o i siti personali o ad uso collettivo che non costituiscano organizzazione imprenditoriale del lavoro” (questa la versione dell’ emendamento secondo l’agenzia Ansa).
Ciononostante, il quadro complessivo che risulterebbe non convince affatto Elvira Berlingeri, docente di diritto d’autore e copyright al master in e-medicine dell’Università di Firenze, che, dalle pagine di Apogeonline (www.apogeonline.it), denuncia l’inadeguatezza di una modifica di tal fatta affermando un irresponsabile e poco lungimirante utilizzo di termini generici e non meglio specificati quali “uso personale” e “uso collettivo”. Lasciare alla mercè dell’interpretazione giurisprudenziale due esimenti di questo genere appare fin troppo audace.
Prosegue la Berlingeri: “Ma ancora di più ci si chiede se non ci sia contraddizione di fondo nell’includere nella definizione di attività editoriale anche quella non imprenditoriale non a scopo di lucro e nell’escludere poi dalla sola iscrizione al Roc i soggetti che non effettuano un’organizzazione imprenditoriale del lavoro. Come distinguere nettamente tra le due ipotesi? Tale emendamento mette a rischio, senza risolvere il problema, i blog telematici con più autori che si occupano di determinati argomenti, i wiki dedicati a una o più discipline (pensiamo a Wikipedia, che ha persino un marchio, una filosofia di fondo e delle policy di redazione e cernita dei contenuti: è un organizzazione del lavoro questa?) e i forum settoriali, perlomeno quelli con dei moderatori, che un’attività di lavoro organizzato, almeno in senso lato, la svolgono”.Che il modo dei blog necessiti di una regolamentazione è anche condivisibile. Ma che si voglia forzare la mano relegandoli in una categoria che non gli appartiene sembra possa servire solo a iniziare un opera di cancellazione di questa realtà, utile, importante e, comunque, gradita al popolo della Rete. Comunque, la storia continua e siamo tutti in trepidante attesa di ulteriori sviluppi. (Stefano Cionini per NL).