La controversa questione della legittimità di diffusori radiofonici acquisiti da soggetti non concessionari operanti in virtù di provvedimenti non definitivi della magistratura e successivamente raggiunti da sentenze confermative dell’originario diniego al rilascio del titolo concessorio è stata finalmente dipanata dal Consiglio di Stato.
Nel merito dell’evoluzione giurisprudenziale della vicenda, si ricorderà che, con due sentenze gemelle depositate il 25/03/2013, il TAR Lazio aveva avallato, poiché motivato in maniera “completa e congrua”, l’orientamento espresso dal Dipartimento per le Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico in merito alla legittimità di impianti radiofonici ceduti da soggetti non concessionari ed operanti in regime di sospensiva a soggetti muniti di concessione, a nulla rilevando, per i successivi passaggi di proprietà, la declaratoria di perenzione del giudizio di impugnativa sul mancato rilascio del decreto concessorio. L’orientamento espresso dal Collegio meritava di essere esaminato per gli interessanti profili affrontati. Il merito della questione, come detto, atteneva le compravendite poste in essere dopo l’entrata in vigore della L. n. 122/1998 (30/04/1998) consentite grazie all’innovazione introdotta dal relativo art. 1, comma 7 ; più a fondo, particolare rilievo assumeva l’interpretazione da riservare all’espressione “provvedimenti della magistratura” di cui al richiamato art. 1 c. 7 L. 122/1998. Sul punto, l’adita Autorità giudiziaria di primo grado aveva evidenziato come il legislatore avesse chiaramente sposato un’accezione ampia del termine “provvedimenti”, non intendendo limitare la portata della norma esclusivamente a quelli definitivi, tanto che tale organo giurisdizionale non aveva ritenuto all’evidenza ragionevole l’interpretazione restrittiva della disposizione normativa – che avrebbe rischiato di porsi in contrasto con la ratio legislativa (di natura sanatoria) – per ribadire un principio già radicato nel nostro ordinamento giuridico. La norma avrebbe dovuto essere letta, per intenderci, in chiave derogatoria della precedente disciplina di cui al D.L. n. 546/1996, convertito con modificazioni dalla L. n. 650/1996. E ciò in quanto, se l’intendimento del legislatore fosse stato quello di riferirsi ai soli provvedimenti definitivi , il tema delle cessioni tra soggetti eterogenei dal punto di vista amministrativo non avrebbe nemmeno dovuto porsi. Gli effetti di un’eventuale sentenza di accoglimento del ricorso, infatti, avrebbero rimosso quelli pregiudizievoli del rigetto ministeriale opposto, costituendo titolo per il rilascio della concessione. In stretta connessione con il thema decidendum, poi, il TAR si era pronunciato sulla natura e sugli effetti della c.d. perenzione. A riguardo, come noto, a seguito della recente riforma del processo amministrativo, l’A.G.A. ha dovuto – nel caso di specie nel settore di nostro interesse – mettere mano a tutti quei pendenti giudizi instaurati dai soggetti che, avendo ricevuto diniego al rilascio della concessione ex L. n. 223/1990, si erano rivolti al TAR . In tali casi – chiariva il Collegio – la pronuncia di rito (il decreto di perenzione), quale provvedimento estintivo del giudizio, “incide solo sul rapporto processuale tra le parti in causa”, discendendo da ciò che “(…) una volta intervenuta la sospensiva ai fini dell’esercizio della radiodiffusione, e non essendo stata successivamente pronunciata sentenza irrevocabile di rigetto (…), debbono ritenersi legittimi sia il pregresso esercizio dell’attività (…) sulla base delle mera presentazione della domanda di concessione ai sensi della legge n. 223/1990, sia il successivo atto di disposizione medio tempore (…) posto in essere, con la cessione del ramo di azienda (…)”. Ovviamente, il quadro di riferimento tracciato dai giudici non ometteva di richiamare i requisiti dettati dall’art. 1, comma 7, della L. n. 122/1998 per validare le cessioni di impianti asserviti ad emittenti operanti in regime di sospensiva. Tali risorse, difatti, perché fossero considerate legittimamente acquisite da un concessionario, non dovevano essere risultate inattive ai controlli effettuati dalla competente Amministrazione ed erano tenute ad operare in condizione di non interferenzialità con terzi legittimi utilizzatori dello spettro radioelettrico di riferimento. Nondimeno, l’orientamento dei giudici di primo grado non veniva confermato dal Consiglio di Stato che, in altro giudizio (conclusosi con sentenza n. 5144/2013 del 10/10/2013), osservava come “Non può certamente ritenersi (…) che un soggetto privo di concessione a trasmettere possa cedere ad altro soggetto un bene, come l’impianto abilitato a trasmettere da apposita concessione, di cui il cedente è sprovvisto, e ciò per il basilare principio del nostro ordinamento, che permea di sé tutte le vicende traslative, secondo cui nemo plus iuris transferre potest quam ipse habet”. Né, secondo il C.d.S., avrebbe potuto sostenersi che all’epoca in cui la cessione fu realizzata essa fosse legittima perché, in prime cure, era stato annullato il diniego di concessione, dato che il concetto di “provvedimento della magistratura”, di cui all’art. 7, comma 1, della l. 122/1998, “non può che alludere ad un provvedimento avente autorità di cosa giudicata, che accerti in modo incontrovertibile la legittimità degli impianti, per l’evidente ragione che un provvedimento cautelare, per la sua strumentalità al giudizio di merito, o una sentenza di primo grado, ancora impugnabile e poi impugnata, come la sentenza (…) sopra richiamata, non sono in grado di assicurare stabilmente e durevolmente l’effetto di legittimazione che la norma persegue”. Diversamente ragionando, secondo il Consiglio di Stato, si sarebbe infatti pervenuti alla conclusione, “assurda e contrastante con la regola dell’art. 2909 c.c., che la cessione diverrebbe inattaccabile, per l’irreversibile cristallizzarsi degli effetti scaturenti dal provvedimento di primo grado non avente autorità di cosa giudicata, anche quando la successiva pronuncia di secondo e ultimo grado ritenesse, come nel caso di specie, la legittimità del diniego di concessione, riformando la prima pronuncia, che però continuerebbe a dispiegare i propri effetti prevalendo addirittura sul successivo giudicato, ormai del tutto ininfluente, che sarebbe quindi inutiliter datum. L’assurdità e l’illegittimità di tale conclusione, che discende ex necesse dalla tesi fatta propria dal primo giudice, dimostra l’erroneità della premessa che, del resto, contraddice la ratio di certa e permanente stabilizzazione sottesa all’art. 1, comma 7, della l. 122/1998 nella mancanza di un quadro regolamentare certo e ben assestato, come è reso evidente dall’incipit della disposizione, dettata in attesa dell’adozione piano nazionale della regolamentazione delle frequenze”. Sennonché, con recente decisione assunta nell’ambito del ricorso 3403/2013 il Consiglio di Stato ha affinato il proprio ragionamento, di fatto giungendo a conclusioni possibiliste sulla legittimità d’esercizio dei diffusori appartenenti alla casistica sopra descritta. Con la sentenza qui trattata (n. 00916/2014) l’Organo giudicante, rilevato che le danti causa del soggetto non concessionario che aveva alienato il diffusore ex art. 1 c. 7 L. 122/1998 (contrastato dal ricorrente), avevano esercitato l’attività di radiotrasmissione “sulla base (anche) di ulteriori atti dell’Amministrazione che, senza alcuna condizione, ne hanno consentito il pacifico esercizio, riconoscendo il possesso dei necessari requisiti” (nella specie atti di voltura della concessione, di assenso alla prosecuzione dell’attività ex L. 66/2001 e di assenso alla fornitura di contenuti per la radio digitale), non avrebbe potuto “quindi ora riemergere la questione riguardante la mancanza dell’originario titolo concessorio della dante causa Radio (….) tenuto conto che l’emittente era stata comunque autorizzata a trasmettere, peraltro in un periodo in cui il quadro regolamentare era molto incerto, e soprattutto in considerazione del fatto che successivamente l’Amministrazione, nei suoi atti, non ha messo in discussione la legittimazione ad operare sul mercato di Radio (…) , con le loro emittenti”. “Né – proseguiva il Collegio – come si è detto, le appellanti, hanno fatto valere tempestivamente le loro eventuali ragioni. Del resto anche per tali motivi il giudizio che era stato proposto davanti al T.A.R. per il Lazio da Radio (…), avverso il provvedimento di diniego di concessione, nel quale, come si è più volte ricordato, il T.A.R. aveva concesso la sospensione cautelare, si è poi concluso nel 2010 con un decreto di perenzione determinato dalla mancata dichiarazione della parte di avere un interesse alla prosecuzione del giudizio. Non ha quindi rilievo, nella fattispecie, la questione (centrale nei due appelli) riguardante l’interpretazione della disposizione contenuta nell’art. 1 comma 7 della legge n. 122 del 30 aprile 1998 che ha consentito a Radio (….) di cedere in favore di Radio (….), il (…) 1998, gli impianti in questione. Peraltro in materia si è di recente espressa questa Sezione con la sentenza n. 5144 del 24 ottobre 2013”. La lapidaria massima giurisprudenziale del C.d.S. sulla materia la si preleva tuttavia dall’ultimo passaggio motivazionale della sentenza disaminata, allorquando, nel rilevare che “contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado nelle due sentenze appellate, anche il decreto di perenzione fa venir meno gli effetti prodotti dal provvedimento cautelare emesso nello stesso giudizio”, i supremi giudici amministrativi rilevavano come devono “essere fatti salvi comunque gli effetti oramai irreversibili come quelli che, nella fattispecie, sono stati determinati dall’effettivo pluriennale esercizio dell’attività di radiotrasmissione, consentita anche (ma non solo) dalla suddetta pronuncia cautelare, e dai numerosi atti dell’Amministrazione che hanno (nel tempo) legittimato tale attività”. (M.L. per NL)