Raramente si è vista, in Italia, una legge votata all’unanimità: circa 450 politici italiani che, dall’estrema sinistra all’estrema destra, si trovano d’accordo su un punto è un’utopia; qualcosa di quasi impossibile. E invece il punto che ha messo d’accordo tutti è stato trovato: si tratta del ddl Mastella, un progetto normativo che si pone come obiettivo la tutela del buon nome di politici, imprenditori, dirigenti di società quotate in borsa e sportive, uomini delle istituzioni, dei sindacati, dei servizi segreti, finanche personaggi del mondo dello show business, spesso più importanti ed influenti di quanto si creda. Il ddl Mastella propone di dire no, di stoppare ogni tipo di pubblicazione delle intercettazioni telefoniche (in cui spesso sicuramente si eccede; ma ciò è un altro problema: quello di un apparato giudiziario certamente da ristrutturare) e di proibire di mettere nero su bianco qualunque tipo di indagine fino al secondo grado di giudizio, con relativa censura riguardante la pubblicazione di verbali d’interrogatorio, ordinanze di custodia cautelare (altro strumento di cui si fa un uso troppo disinvolto e che – questo sì – andrebbe fatto oggetto di urgente attenzione parlamentare), verbali di perquisizione e di sequestro. Tutto questo per non infangare il buon nome degli indagati. Tutto quadra: politici e personaggi esposti in generale potrebbero anche commettere reati, ma il loro nome non dovrà comparire sulle pagine dei giornali. Se questa legge fosse stata varata qualche anno prima, certi dirigenti sarebbe probabilmente ancora saldamente al timone di importanti istituti bancari; alcuni maghi della finanza sarebbero forse ancora annoverati tra quelli più stimati del nostro Paese e girerebbero tuttora in yacht invece di curarsi delle proprie gatte da pelare giudiziarie; qualche esponente di rilievo dell’industria calcistica continuerebbe a sedere comodamente in tribuna e a guidare una squadra storica. E questi sono solo i più rappresentativi delle centinaia di esempi degli impulsi dati alle indagini della magistratura da inchieste giornalistiche. Per non parlare, poi, dei crac Parmalat e Cirio. Secondo i parametri di questa proposta di legge, solo oggi si inizierebbe a discutere di questi eventi, dopo ben cinque anni. Ma ciò che di ancor più ingiusto sembra esserci in questa ipotesi di legge è che, se non fosse stato per qualche giornalista che ha fatto il suo lavoro, gli scandali accennati non sarebbero forse mai venuti alla luce. Chi e quando li avrebbe scoperti, se non se ne fossero interessati i giornalisti? La domanda è, purtroppo, retorica e la risposta potrebbe essere raggelante, ma purtroppo l’impressione data dal ddl è proprio quella di voler elevare delle immunità sopra gli interessi dei cittadini e dell’informazione. Almeno su un argomento questi signori si sono trovati tutti d’accordo: pene detentive fino a 30 giorni per chi pubblica intercettazioni, fino a 4 anni per chi se le procura illegalmente; innalzamento delle sanzioni (prima erano da 51 a 258 euro) da 10mila a 100mila euro per la pubblicazione di atti prima che i tempi biblici della giustizia italiana la rendano possibile. (Giuseppe Colucci per NL)