da Franco Abruzzo.it
La Stampa 6/8/2008
di Massimo Krogh*
Sono sotto gli occhi le misteriose, ma non troppo, fughe di notizie, che diventano il veicolo di pesanti violazioni della privacy o d’inquietanti strumentalizzazioni della giustizia. A questo riguardo, è improprio accusare di politicizzazione la magistratura, ma è vero che oggi un malaccorto apparato normativo, che consente all’accusa penale d’entrare dappertutto, dà alla politica la possibilità di usare la giustizia come un’arma buona per tutte le stagioni. La scena del processo penale è in parte mutata, in quanto è cresciuta la potenzialità del reato a toccare, sebbene in modo indiretto, gli interessi generali. I reati del crimine organizzato, i reati che riguardano la pubblica amministrazione, l’assetto imprenditoriale-societario, il sistema bancario, la stabilità economica, la faccia della politica, hanno un’offensività diffusa: in qualche modo riguardano tutti. È quindi inevitabile, lo vogliano o no i magistrati che conducono le inchieste, che in questi casi il processo diventi «politico» siccome investito dalla voglia di partecipazione dell’intera comunità.
La spettacolarizzazione ne è una fatale conseguenza e di questo palcoscenico diviene non di rado protagonista il presunto innocente che si trova coinvolto in un’indagine penale. Su di lui non c’è solo l’ombra del pubblico ministero, ma la macchina dello Stato, contro cui può molto poco un avvocato, che nella fase delle indagini, la sola che va sulla stampa, ha poteri limitati. E quando questa macchina incontra l’alleanza del fuoco mediatico, se ne può restare schiacciati, perché alla quotidiana presenza sui media del pm non fa riscontro la trattazione dei processi. Questo modo di mostrare le vicende penali, talvolta enfatizzato dalle vanità soggettive, realizza una rappresentazione illusoria della giustizia, mostrandosi all’opinione pubblica come processo penale ciò che non è il processo ma è solo l’esercizio di un potere, tutto da verificare. Oggi vi è una patologia dell’accusa penale, che indirizzandosi sui fenomeni piuttosto che sulle persone, spesso coinvolge tutto e tutti, e anche un non indifferente numero di innocenti; che vanno sui giornali e spesso con ciò che hanno detto al telefono, non importa se abbiano parlato delle corna del coniuge che non c’entrano con l’indagine.
Le intercettazioni sono un mezzo di ricerca della prova necessario ma che dovrebbe essere usato come supporto, non come centro delle indagini, e invece sono diventate l’unico o prevalente strumento per investigare. Non sempre sono chiare, più spesso si tratta di mozziconi di frasi, interpretati a seconda delle prospettive e che all’esito del giudizio finiscono per servire ben poco, per mancanza di riscontri oggettivi. Quando molto danno è già fatto. Il disegno di legge in corso pone la soglia dei dieci anni di reclusione per il loro uso. Una riduzione di questo strumento così invasivo e abusato sembra opportuna. Sembra invece inopportuno infierire sull’informazione, anche perché non è facile individuare sempre il discrimine fra ciò che può e ciò che non può pubblicarsi. Un eccessivo zelo normativo, condizionato dalle suggestioni del momento, rischia d’incidere sulla libertà di stampa. Io credo che bisogna soprattutto snidare e colpire chi passa le informazioni e anche ridurre l’applicabilità di questo mezzo investigativo, i cui eccessi ne oscurano i vantaggi. È frequente dire che senza le intercettazioni molti misfatti non si sarebbero scoperti, ma è facile rispondere che senza le intercettazioni molte vite non sarebbero state distrutte da interminabili processi finiti con l’assoluzione o comunque nel nulla.
*avvocato penalista