Tra le norme che possono essere ricondotte nell’alveo dell’art. 21 della Costituzione, può senz’altro essere annoverato tra i diritti soggettivi legati alla libera manifestazione del pensiero, quello di critica, a patto che – se ne è trattato diffusamente anche dalle pagine di questo quotidiano – le espressioni utilizzate non debordino nel campo dell’ingiuria e/o della diffamazione.
A tal proposito, fornisce un interessante punto di vista il Tribunale di Torino attraverso la sentenza resa dalla VII sezione civile, depositata il 10/01/2010, con la quale viene condannata al risarcimento dei danni non patrimoniali la parte convenuta che, nel corso di una trasmissione di approfondimento giornalistico in onda sulle reti pubbliche, apostrofava in maniera ritenuta eccessivamente colorita un giornalista presente al dibattito. Contestare il punto di vista di un ipotetico interlocutore, nella proposta statuizione, è da ritenersi attività legittima laddove si voglia replicare – anche con i toni aspri o grotteschi propri, rispettivamente, della critica politica e della satira – ad un avverso punto di vista, purché non si trascenda nella “contumelia o nell’inutile discredito di un soggetto” (cfr. Trib. Torino, cit.). In altre parole, si possono mettere in discussione idee e punti di vista altrui senza lederne onore e reputazione con definizioni gratuitamente offensive. Dopo queste brevi considerazioni preliminari, il giudice di primo grado prosegue enunciando i principi che sul tema erano già stati formulati dalla Cassazione, in un esercizio ermeneutico finalizzato a contestualizzare l’esercizio del diritto di critica. Sul tema, il giudice di prime cure ancora questo metodo espressivo ai requisiti dell’interesse pubblico e della correttezza, escludendo dal novero delle azioni consentite gli attacchi personali, l’inutile quadratura su vicende non pertinenti con l’ambito della discussione e – soprattutto – per le quali non si valuti “l’idoneità dei soggetti e dei comportamenti criticati a richiamare su di se un’apprezzabile attenzione dell’opinione pubblica” (cfr. Trib. Torino, cit.). Tra le difese proposte dal convenuto vi era, altresì, l’intento di radicare le espressioni che parte attrice pretendeva ingiuriose nell’ambito della narrazione satirica, ma anche sul punto il giudice smentisce tali eccezioni – in via principale- sul presupposto in base al quale la trasmissione nella quale erano state rese non aveva alcuna pretesa satirica, definendo vieppiù l’ambito di questa forma espressiva relegata ad una “rappresentazione dei fatti e/o di persone che mira a suscitare ilarità nel pubblico, proponendo le vicende o i personaggi di cui si occupa con forme espressive umoristiche e paradossali” (cfr. Trib. Torino, cit.), escludendo categoricamente l’inutile e poco edificante denigrazione di terzi. Di contro, il Tribunale di Torino accetta che la censura proposta al pubblico su fatti o questioni che vedono come protagonista un altro soggetto possa fondarsi su espressioni forti ed astrattamente lesive dell’onore di un soggetto “ove finalizzate esclusivamente a rafforzare la propria opinione ed a provare l’infondatezza dell’opinione altrui, mentre devono ritenersi illecite tutte quelle espressioni che consistono in contumelie fini a se stesse” (cfr. Trib. Torino, cit). Di particolare interesse, poi, il nesso causale offesa – danno patito enucleato dal giudice a sostegno della pretesa risarcitoria (peraltro ridotta ad 1/10 rispetto alla richiesta avanzata negli atti introduttivi del giudizio) di parte attrice. Il danno non patrimoniale, infatti, secondo l’autorevole lettura fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (per tutte, sent. 26972/2008), può essere considerato alla stregua di sofferenza psichica derivante dalla diffusione delle frasi aventi contenuto ingiurioso e non necessita di ulteriori riscontri probatori. Per quanto concernente, invece, le modalità di ristoro del nocumento subito dal destinatario delle offese, la pubblicazione sulla stampa della sentenza (nel caso disposta per estratto) vale quale elemento di “risarcimento in forma specifica con altissima efficacia risarcitoria dell’onore e della reputazione dell’offeso e come tale idonea a ridurre il quantum del risarcimento” (cfr. Trib. Torino, cit.). Concludendo, ci pare doveroso sottolineare il titolo di responsabilità qui configurato in capo al convenuto da ricondursi nell’ambito degli effetti civili scaturenti dal reato di ingiuria. (S.C. per NL)