D.lgs. di recepimento della Direttiva servizi media audiovisivi: ora si mettono di traverso gli ISP

Il decreto supererebbe nei fatti le intenzioni del Legislatore comunitario che non intendeva certo mettere “sotto tutela” l’intera Rete né, tantomeno, negare l’applicazione della Direttiva Commercio Elettronico.

L’Associazione Italiana Internet Provider (AIIP) intervenendo in audizione presso le Commissioni riunite Cultura e Comunicazioni della Camera, ha espresso dubbi riguardo lo schema di decreto legislativo di recepimento della Direttiva Servizi Media Audiovisivi (Direttiva 2007/65/CE), che sta per entrare in vigore e su cui il Parlamento è ora chiamato ad esprimere parere. Secondo AIIP il testo proposto alle Camere non sarebbe conforme alle disposizioni della Direttiva europea perchè estendendo alla totalità di Internet alcuni principi della comunicazione televisiva, supera nei fatti le intenzioni del Legislatore comunitario che non intendeva certo mettere “sotto tutela” l’intera Rete né, tantomeno, negare l’applicazione della Direttiva Commercio Elettronico. Quest’ultima infatti esclude a chiare lettere la responsabilità dell’operatore che effettua il semplice traporto, hosting e caching dei dati. Mentre il testo della Direttiva Servizi Media ribadisce che non si sta derogando alle norme sul Commercio Elettronico, il testo di recepimento italiano trascura ogni coordinamento con la disciplina del commercio elettronico che sembra, di fatto, “travolta”. Basta vedere le ambiguità concettuali nelle nuove definizioni di “servizio media”, che possono essere lette come in contrasto con la direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico. Con la nuova Direttiva, il Legislatore Comunitario si è limitato a richiedere agli Stati membri che i servizi media (la nuova televisione) sulla rete siano soggetti all’obbligo di rettifica se violano alcuni importanti principi come la tutela minori o del consumatore e, in tal caso, che siano rimossi su richiesta dell’Autorità Giudiziaria. Il recepimento italiano sembra invece confondere questa sorta di “tutela a posteriori dell’ordine pubblico” con l’attività editoriale e arriva ad imporre alla piattaforme di hosting e quindi, potenzialmente, ai provider, obblighi di vigilanza non previsti da alcuna direttiva. Tutto questo non solo è in aperto contrasto con la direttiva 2000/31/CE, ma costringerebbe i fornitori italiani di hosting a cessare gran parte delle attività relative al video. Inoltre, deve risultare chiaro a tutti che la Direttiva europea riguarda i servizi che costituiscono “mezzi di comunicazione di massa” e sono “sostitutivi della radiotelevisione”. Risulta quindi inappropriato e fuorviante, all’art. 4 comma 1 dello schema di decreto affermare che rientrano nella definizione di servizi media audiovisivi quelli “anche veicolati mediante siti Internet, che comportano la fornitura o la messa a disposizione di immagini animate, sonore o non, nei quali il contenuto audiovisivo non abbia carattere meramente incidentale” senza ulteriormente delimitare questa categoria. Per meglio chiarire, un programma “video on demand” di incontri di Serie A, diffusi da una emittente a carattere nazionale avranno certamente le caratteristiche richieste dalla Direttiva, ma il “video on demand” di una partita amatoriale “scapoli-ammogliati”, diffuso dal sito della cronaca di quartiere, non potrà mai avere simili caratteristiche dato che la diffusione non è diretta al pubblico di massa. E’ evidente che occorrono criteri più precisi e meglio delimitati per trovare le corrette modalità di applicazione della Direttiva all’ordinamento italiano. E’ dunque, intanto urgente eliminare la parte dell’art. 4 comma 1 sopra citata per sostituirla con un rinvio a norme tecniche applicative, che potrebbero essere lasciate alla competenza dell’Agcom. Occorre inoltre eliminare la necessità di autorizzazioni ministeriali per i servizi a richiesta (non lineari), in palese contrasto con il considerando 15 della Direttiva: se il nostro Ministero fosse legittimato ad “autorizzare” il video on demand su Internet la probabile conseguenza sarebbe la “fuga” dall’Italia del nascente web 2.0: i servizi on-demand si andrebbero a basare in quei Paesi caratterizzati da un più puntuale recepimento della Direttiva; un recepimento caratterizzato dall’assenza di “autorizzazioni aggiuntive” e “limitazioni alla libera circolazione dei servizi”.  Dunque, nell’ottica di una corretta politica per l’innovazione e la banda larga, AIIP ha invitato Governo e Parlamento ad una urgente riflessione sullo schema di decreto, convinta della possibilità di apportare utili emendamenti ed assicurare così che l’Italia sia pienamente aderente allo spirito della Direttiva Servizi Media. (ADUC)
 

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