Tempi duri per l’informazione, in qualunque forma essa si manifesti. Sono in aumento i paesi nei quali la libertà d’espressione è nient’altro che un optional; i giornalisti inviati in zone di guerra, o comunque a forte rischio, stanno divenendo merce di scambio sempre più pregiata per coloro che se ne servono per perseguire i propri obiettivi, spesso e volentieri tutt’altro che democratici; persino per coloro che, come i blogger, intendono fare informazione alternativa, mescolandosi in quell’enorme melting pot che è la rete, sta iniziando una vera e propria caccia alle streghe, sintomo di un’informazione sempre più “indirizzata”, manipolata, interessata (nel senso di aderente ad interessi di uno o di tanti). Lo scorso 3 maggio è stata celebrata la diciassettesima giornata della libertà di stampa, ma mai come quest’anno i festeggiamenti hanno ben poca ragione d’essere. A partire dalle “quattordici sorelle” nemiche del web (dati di Reporters sans Frontieres), passando per il rapporto annuale Freedom House sul quoziente di libertà d’espressione degli stati mondiali, i dati si fanno sempre più scoraggianti ed il mestiere del giornalista sembra trasformarsi (fortunatamente non dappertutto) sempre più in quello di portavoce di poteri più o meno forti. Una notizia leggermente rincuorante giunge per l’Italia proprio dal rapporto Freedom House: nella generica suddivisione tra stati “liberi”, “parzialmente liberi” e “non liberi”, il Belpaese non si situa più in quel limbo un po’ frustrante dei “parzialmente liberi”, in compagnia di Romania, Nigeria, Thailandia (dove la libertà d’espressione sta registrando un brusco calo), ma è tornato nel gruppo delle presunte democrazie libere. Freedom House ne attribuisce (con indubbia eccessiva forzatura) il merito “primariamente al fatto che Berlusconi non è più premier”, dal momento che “pur rimanendo l’informazione privata nelle mani di Mediaset, controllata da Berlusconi, la principale emittente pubblica, la Rai, non è più sotto il suo controllo”. Meglio che niente verrebbe da dire, se non che certe prese di posizioni estreme tendono a far dimunire la credibilità della fonte espressiva. Intanto, a fronte del dato secondo cui, su 225 paesi nel mondo, 74 risultano essere “liberi”, 58 “parzialmente liberi” e 63 “non liberi”, solo il 18% della popolazione mondiale abita zone dove l’informazione circola senza vincoli di potere (a testimonianza del fatto che gli stati più popolosi sovente risultano essere meno liberi, una sorta di condanna verso l’assemblaggio di popoli con culture diverse ed un elogio ad una moderata forma di sussidiarietà), il 39% si barcamena tra una stampa relativamente libera e diversi tentativi di imbavagliarla, addirittura il 43% (dato raggelante) non conosce nemmeno il significato del termine libertà di stampa. Difficoltà anche per i citati blogger, coloro che, grazie alle infinite risorse del web, hanno trovato un modo alternativo di fare informazione, specie dove quella tradizionale trova difficoltà ad affrancarsi dal potere o dai poteri forti. Secondo dati Onu, infatti, i “cyber-dissidenti” arrestati nell’arco del 2006 sono risultati essere almeno 65 in tutto il mondo (noto il caso del blogger egiziano prima allontanato dalla propria università e poi arrestato perché contrario a precetti dell’Islam quali l’imposizione del velo per le donne), con numerosissimi casi di censura registrati in paesi come Stati Uniti, Egitto e Cina. A testimonianza della riflessione riguardo la sussidiarietà. Passando in rassegna i dati, infine, arriva il momento del compianto nei confronti delle vittime del giornalismo, coloro che, animati dal desiderio “missionario” di raccontare gli orrori del mondo direttamente dal teatro che li mette in scena, hanno perduto la vita dolosamente nell’esercizio del loro lavoro. Sono già 29, in tutto il globo, dall’inizio del 2007, 167 nel solo Iraq (maglia nera per il quarto anno consecutivo) dall’inizio del conflitto. Bollino rosso di pericolo si registra anche nelle zone della striscia di Gaza e nel sud-est afgano. I giornalisti stanno diventando, sempre di più, merce privilegiata di scambio per ottenere favori e liberazione di prigionieri. (Giuseppe Colucci per NL)