Oggi pomeriggio abbiamo pubblicato un nuovo articolo del consulente editoriale Claudio Astorri sull’argomento in titolo, che sta occupando, dato il riscontrato interesse dei lettori, da circa un mese questo periodico.
Nel suo ultimo pezzo Claudio Astorri chiamava in causa il giornalista Nicola Franceschini, il quale era a sua volta intervenuto sulla questione con un interessante contributo.
Ora, nell’ambito di un costruttivo ping-pong, Franceschini ribatte alle tesi di Astorri, aggiungendo nuova linfa al proficuo dibattito.
Questo il commento del giornalista massmediologo lanciato attraverso la frequentatissima mailing list Talkmedia.
Caro Claudio, mi fa piacere che da più parti – compresa Talkmedia, ovvero la mailing list dove ho inviato la mia opinione, ripresa dal tuo sito e da Newsline – si discuta di un problema che mi sta a cuore, cioè quello della radio locale.
La tua risposta, puntuale e precisa, merita però una mia controbattuta, poichè temo di essere stato frainteso su un punto importante. Non ritengo affatto che le varie superstation (da Subasio a Company ecc) non siano vincenti. Al contrario, considerando i dati di ascolto e la popolarità dei loro marchi, le reputo importanti iniziative editoriali che hanno saputo ottimizzare il loro prodotto, farlo crescere e portarlo ai livelli attuali.
Semplicemente non riesco ad identificarle come emittenti locali. Specifichi che la pubblicità (risorsa di base per la radio commerciale) determini la percezione locale o nazionale. Non metto in dubbio che questa affermazione sia frutto di ricerche qualitative, ma questo non cambia la mia opinione, nata non come risposta specifica all’interessante pezzo scritto sul tuo sito, bensì sul concetto di vera radio locale.
Senza essere critico nei confronti di alcune emittenti e magnanimo nei confronti di altre, analizzerei un fenomeno ancora raro nel nostro Paese: lo stile “Radio Bruno”. L’emittente più ascoltata in Emilia Romagna si è gradualmente estesa adottando un modello che ha mantenuto “locale” la formula della radio ovunque abbia rilevato frequenze. Come? “Rilevando” anche redazioni, cronisti, dirette sportive e qualunque cosa potesse dare davvero una percezione locale. Non a caso, gli ascoltatori storici di Modena (provincia ove ha sede l’emittente) possono fruire tuttora di notiziari e radiocronache delle squadre della provincia. Parallelamente, sulle frequenze di Bologna, oltre alle news di zona, c’è spazio per lo sport della squadra di calcio della città e della Virtus (basket). E così via, fino all’ultima acquisizione avvenuta alcuni mesi fa tra Lombardia e Veneto.
Questa la reputo una vera (grande) radio locale, che basa ciò che è “locale” non solo sullo splittaggio della pubblicità (che ribadisco essere essenziale affinchè tutto questo possa ritenersi un prodotto di successo), ma anche sullo “splittaggio” dei contenuti.
E fermo restando che molte piccole reti (emittente cittadine o poco più) potrebbero sfruttare meglio le proprie risorse per offrire un prodotto più dignitoso, finalizzato anche ad aumentare ascolti e pubblicità.
Concludendo, concordo sulla “salute” della radiofonia locale secondo Audiradio (ovvero l’intera radiofonia iscritta, ad eccezione di Rai e network), ma penso ci sia ancora da lavorare sul concetto contenutistico di radio locale, a prescindere da come venga percepita da chi la ascolta-
foto: da www.novantanoviani.it – Claudio Cecchetto a Radio Studio 105 quando ancora era una radio locale