In qualche modo alla crisi dell’editoria bisogna reagire. Non vi è certezza sui metodi per farlo, ma le proposte sono tante. Chi accorpa redazioni per la pubblicazione su carta stampata con quelle per la pubblicazione dei contenuti online; chi condivide la stessa redazione tra due o più testate; chi propone di trasformare le grosse testate internazionali in fondazioni benefiche nella speranza di triplicare la propria forza economica; chi semplicemente riduce costi (e personale); chi infine punta sugli abbonamenti o sul pagamento per l’accesso agli archivi. Qualunque sia la strada, nessuno sembra aver ancora trovato un “veicolo” adatto a percorrerla. Senza contare che ognuna delle precedenti soluzioni può essere a sua volta articolata in una miriade di sottocategorie. Così tante che perfino gli editori non sanno più quale scegliere. Tantomeno riescono a capire quale possa essere la strategia migliore per i propri quotidiani. Tra le tante, spunta la proposta di Rupert Murdoch: micro pagamenti per ogni articolo letto. Un po’ come succede per gli mp3 di iTunes: paghi pochi spiccioli per accedere ad un contenuto. Del resto, se il lettore non ha il tempo di leggere interamente un quotidiano, non lo ha nemmeno per consultare interamente un sito web. L’internauta sceglie solo quello che gli interessa; cerca solo quello che gli serve e paga. Una soluzione che può ritenersi efficace per una determinata categoria di lettori, nonché per una determinata categoria di quotidiani (non è infatti un caso che il Wall Street Journal sia uno dei pochi giornali dove simili strategie possono ottenere successo a breve termine), ma non adatta a soddisfare le esigenze di tutti (gli editori o i lettori). Ragion per cui si passa al piano b: abbonamenti generici o divisi per categoria (cronaca, economica, politica, sport) che consentano al lettore di avere libero accesso ad una serie maggiore di contenuti. E’ in questo quadro operativo (quello degli abbonamenti) che si inseriscono l’intuizione e il prodotto avanguardista di Jeff Bezos, amministratore delegato di Amazon.com. Il lettore elettronico Kindle Deluxe (evoluzione ingrandita della versione precedente), dotato di uno schermo composto da 16 diverse tonalità di e-ink (inchiostro elettronico) e, a differenza dei pc, facilmente leggibile anche all’aperto, si propone come ponte tra carta stampata e internet. Come suggerisce un interessante articolo dell’EJO (European Journalism Observatory), Kindle potrebbe essere un modo per abbandonare il giornale, senza rinunciare al giornalismo. Considerando infatti l’influenza che internet e i nuovi media hanno avuto sui giornalisti, è naturale pensare che Kindle potrebbe offrire un servizio completo e “contro-l’attuale-corrente”, conservando quindi gli approfondimenti tipici del cartaceo e rifiutando l’ormai eccessiva sintesi del web. Ma il gioco non è così facile. A quanto pare, infatti, Amazon, offrendo un supporto per la veicolazione digitale di contenuti a qualsivoglia quotidiano interessato, incasserebbe il 70% dei ricavi degli abbonamenti. Percentuale troppo alta non solo per il magnate australiano, ma per qualunque altro grande editore che, dopo aver perso introiti e lettori a causa di Google News (il danno), dovrebbe scendere a patti non del tutto convenienti con Bezos, per rilanciare tecnologicamente il proprio prodotto editoriale (la beffa). Ragion per cui la tecnologia di Amazon potrebbe essere rifiutata non solo da Murdoch (che naturalmente ne ha preso ufficialmente le distanze), ma anche da molte altre testate giornalistiche che non vedono, nemmeno all’orizzonte, i segnali di un futuro un po’ più roseo. Sebbene la diffusione di Kindle negli Stati Uniti stia crescendo, soprattutto grazie alla diffusione dei libri elettronici, non vi è certezza sul futuro del connubio con la carta stampata. L’attuale crisi, che ha peraltro condotto alla chiusura definitiva di numerose testate, ha ragionevolmente spaventato gli editori, che di fatto non vedono negli abbonamenti di Kindle una reale soluzione al problema. E Jeff Bezos? Il dinamico a.d. di Amazon.com appare seriamente preoccupato. Kindle è cresciuto lentamente, non ha avuto il successo dell’iPhone e ha un costo ancora poco accessibile. E’ forse il caso che a Seattle (sede centrale di Amazon) rivedano qualche fondamento dell’e-strategia? Senza dimenticare, ancora una volta, che la posta in gioco non è il futuro del giornale, ma quello del giornalismo. (Marco Menoncello per NL)