Nulla sarà più come prima. Questo è stato chiaro sin dall’inizio della crisi economica mondiale.
Così non ha fatto eccezione il mercato radiofonico italiano che sarà ora ricordato come "avanti 2008" e "dopo 2008", con uno spartiacque determinato da un’economia settoriale drogata dal trading di frequenze FM (fenomeno unico al mondo) che confondeva i bilanci delle emittenti (soprattutto locali) creando in molti casi due distinte aree di business: una, generalmente, scarsamente remunerativa (la pubblicità); l’altra capace di generare redditività anche eccezionale. D’ora in poi, però, sarà differente. Se è vero che sul trading delle frequenze la crisi c’entra poco, avendo essa solo incentivato la chiusura di una fase transitoria (ancorché molto estesa a livello temporale) dell’evoluzione del mezzo radiofonico italiano (in buona sostanza, i maggiori buyer di frequenze – le reti nazionali più importanti – hanno completato la copertura e sono ormai allo sviluppo della ridondanza, che pur pare premiante sul piano degli ascolti), è innegabile che da qualche mese a questa parte l’interesse degli investitori si sta marcatamente spostando sulla valutazione delle aziende editoriali nel loro complesso, con l’obiettivo di creare nuovi prodotti o sviluppare linee esistenti secondi principi aziendali più consoni alla nuova economia mondiale della comunicazione. Così, dopo soli sei mesi di stasi, il mercato mostra già segnali di fermento: progetti di fusioni, incorporazioni, ingresso nei capitali di imprenditori estranei al settore, creazioni di newco tra player locali di spessore, sono allo studio e nuovi prodotti editoriali (generalmente trasversali a livello tecnologico) sono in procinto di debuttare. E’ il caso, ad esempio del nord Italia, dove a luglio dovrebbe iniziare il nuovo ciclo di una stazione interregionale di cui avremo modo di parlare presto. E’ l’inizio di una nuova età dell’oro di un medium che non finisce mai di esprimere le proprie potenzialità?