E’ crisi nera per l’editoria italiana, e questo lo si sapeva. Il crollo della pubblicità, delle vendite e del fatturato, a fronte di un aumento dei costi e dei tagli inseriti in Finanziaria dal Governo, fanno del comparto editoriale italiano uno dei più disastrati del mondo occidentale, all’interno di un settore – quello della carta stampata – agonizzante un po’ dappertutto.
La crisi è congiunturale ma anche strutturale; è ampliata dal ricorso sempre maggiore all’uso dei new media da parte degli utenti, dalle recenti misure adottate dal governo, che ha eliminato il regime delle tariffe postali agevolate, e dall’atavica particolarità del mercato pubblicitario italiano, che privilegia – unico esempio, assieme al Portogallo, nell’Europa occidentale – la tv invece che i giornali. Ieri alla Camera dei Deputati è stato presentato lo studio "La Stampa in Italia 2007-2009", che fornisce i numeri della crisi. E il Presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, Malinconico, commentando lo studio, ha parlato di "una delle crisi fra le più acute della sua lunga storia", puntando l’indice, oltre che sui fattori congiunturali, sulla politica del governo, che "non solo non è intervenuto per attenuare gli effetti di una congiuntura difficile e per allentare quei nodi strutturali che soffocano il settore, ma ha operato in senso contrario con la soppressione delle tariffe postali agevolate". "Stiamo negoziando con Poste – ha detto – per verificare come si possa colmare il divario, al momento vastissimo, tra la tariffa piena e la vecchia tariffa agevolata. Sapevamo benissimo che dal 2011 in poi, con la piena liberalizzazione dei servizi postali, non sarebbe stato più ammissibile continuare ad applicare il vecchio sistema e che una riforma sarebbe stata necessaria. Ma il 2010 resta un problema insormontabile, perché lo stop è di fatto una misura retroattiva, che va a incidere su bilanci già approvati e su abbonamenti già in essere. Come fanno gli editori a fare i loro conti in queste condizioni? Puntiamo a trovare una via d’uscita per quest’anno che non ci massacri". E, infine, come parziale ricetta anti-crisi, Malinconico ha parlato della possibilità di inserire una "mini-tassa" sul web, lontana parente di quella vigente in Germania, dove i possessori di pc hanno l’obbligo di pagare una sorta di "mini-canone". "Un prelievo di entità modesta, – dice Malinconico – dal costo di un caffè al mese o giù di lì, per realizzare una dote di risorse che possa essere d’aiuto in questo frangente". Ma, eccoli qui, i numeri della crisi presenti nello studio presentato alla Camera. Meno pubblicità, meno vendite, cali del fatturato. Riguardo la pubblicità, dopo un crollo verticale degli ultimi tre anni – culminato nel -16,4% del 2009 – i periodici lasciano intravedere uno spiraglio di positività, con il +0,6% del primo trimestre 2010; anche i periodici vanno meno male degli ultimi anni: qui la flessione, giunta al 29,3% nel 2009, si è attestata sul 13,5%. Capitolo vendite. Niente di nuovo nel 2010, il calo è confermato bene o male con le stesse percentuali: -6% nel 2010 (era -5,9% nel 2009) per i quotidiani; – 5,6% e -8,9% rispettivamente per settimanali e mensili. Per quanto concerne il fatturato, cala l’intero comparto in modo progressivo, fino -9% del 2009, con un crollo significativo del margine operativo lordo, sceso ben del 93,8% (da 161 a 16 milioni tra il 2007 e il 2009), un incremento del numero delle imprese in perdita da 22 a 28, ed una decrescita di quelle virtuose da 38 a 29. Come si diceva, poi, sono calate in modo vistoso le risorse pubbliche, anche a causa della fine del regime postale agevolato: in generale, si è passati dai 414 milioni previsti dalla Finanziaria 2008 ai 195 di quella del 2011. Parallelamente, cresce anche quello che "La Stampa" definisce il "press divide", ossia il kenyon che divide coloro che utilizzano la carta stampata per informarsi e coloro che, invece, la ignorano, usufruendo solo della tv e a volte neanche di quella. Kenyon significativo soprattutto al Sud. Nel 2006 era il 33,9% degli italiani a non avere alcun contatto con i giornali; nel 2009 la percentuale è schizzata al 39,3%, grazie anche alla crescita di coloro che utilizzano soltanto internet per informarsi: erano il 5,7%, sono diventati in tre anni il 12,9%. Particolarmente significativa, si diceva, la differenza al Sud Italia: sono 56 ogni 1000 abitanti le copie di quotidiani vendute da Roma in giù; 102 e 99, rispettivamente al Nord e al Centro. Infine, sguardo ad una delle anomalie del mercato italiano, confermata dai dati dello studio: alla stampa è destinato soltanto il 30,9% degli investimenti pubblicitari sui media, contro il 53,9% della televisione. Assieme al Portogallo, l’Italia è l’unica nazione dell’Europa Occidentale in cui la quota pubblicitaria tra carta stampata e televisione non è in equilibrio o, addirittura, a favore della prima. (G.M. per NL)