Il problema delle truffe online sta assumendo proporzioni ben oltre l’immaginabile, sempre ammesso che qualche previsione in materia potesse essere fatta. Polizia e Guardia di Finanza sono sempre più occupate su un fronte dove la criminalità si espande a vista ad occhio e, purtroppo per noi, riesce ad essere molto più efficace e molto più veloce di quanto non sia mai stata. E al centro dell’attenzione non si trovano più solo operazioni di frode online più o meno comuni, ma anche un vero e proprio mercato nero dedicato a chi sfrutta l’hackeraggio per arricchire le proprie tasche. Gli hacker (coloro che di norma si limitano a mostrare la proprie capacità informatiche senza creare disagio, ndr) ci tengono a differenziarsi dai pirati informatici, ma la distinzione risulta ormai troppo complessa se consideriamo la vasta gamma di software che, passando nelle mani sbagliate, è in grado di mietere centinaia di vittime inconsapevoli ogni giorno. Tra gli esempi più clamorosi possiamo evidenziare, tanto per cominciare, quei prodotti alla base del mercato nero della rete e sfortunatamente di uso quasi comune: per 1.000 dollari è possibile procurarsi un software in grado di scandagliare un pc remoto alla ricerca di dati d’accesso ai conti online; per 80 dollari si può ottenere un programma capace di dirottare qualunque forma di pagamento verso un proprio conto; per soli 2 dollari viene praticamente “regalato” un mega di indirizzi mail a cui spedire mail di ogni genere (spam, pubblicità, e naturalmente, truffe). A questi programmi ci sono da aggiungere le pratiche più comuni (con relativi neologismi) dedicate ai furti via web. Il phising (in italiano, “spillaggio” di dati sensibili) è quel metodo secondo il quale si riceve una mail apparentemente ufficiale, dove l’ente interessato (banca, poste e simili) dichiara che il proprio conto è stato erroneamente bloccato. Di conseguenza, vengono chiesti all’utente di digitare nuovamente i propri dati per sbloccare lo stesso. Il pirata in questo modo riesce a recuperare i dati bancari del malcapitato. Altra pratica diffusa (anche tra gli utenti meno esperti) è quella denominata waredriving: l’internauta accede ad internet sfruttando la connessione wi-fi del vicino di casa e trasformando quest’ultimo nel responsabile di tutti gli eventuali danni creati durante la navigazione. Attenzione anche agli internet point: da Torino arriva la notizia di un ladruncolo che si aggirava tra le decine di computer per rintracciare i dati inseriti dall’ultimo utente. Inutile dire che aggiornare programmi anti-virus e anti-intrusione non basta. L’Italia è purtroppo un paese dove questo tipo di pirateria è tra le più alte al mondo: non a caso abbiamo guadagnato il sesto posto (Roma e Milano sono la terza e la quarta città su tutta l’Europa, l’Africa e il Medio oriente). La necessità più imminente, spiegano Polizia delle Comunicazioni e Guardia di Finanza, è imparare a usare internet in modo sempre più attento e consapevole. Ergo, limitare i danni alla base ed evitare di divulgare in modo eccessivo i propri dati e le proprie generalità. Un monito che gli adolescenti (quelli il cui profilo è pubblicato in molti siti di social network, per esempio) dovrebbero prendere alla lettera, pensando a quanto sia semplice appropriarsi delle generalità altrui per non lasciare tracce delle proprie malefatte. Per quanto riguarda gli adulti invece, è necessario informarsi in maniera più meticolosa su quale insidie internet possa riservare: se il furto avviene, parte della colpa ce l’ha anche chi ha abboccato. (Marco Menoncello per NL).