Dopo la seconda tornata di reazioni, pubblichiamo altri contributi alla nostra provocazione odierna (Promozione radio: dov’è finita la creatività italiana?).
Questa volta scrive il giornalista e amico Andrea Lawendel di Radio Passioni
Ciao a tutti da Andrea/Radiopassioni. Un dibattito interessante. Non credo affatto che sia una questione di soldi. Per esempio, un vostro lettore scrive: “Avete un’idea del gettito pubblicitario sulla radio all’estero e in particolare in Spagna? Fa spavento rispetto all’Italia, fanalino di coda negli investimenti sulla radio in Europa”
Fa davvero spavento? Secondo Infoadex la radio, “es el cuarto medio por volumen de inversión, supone el 8,9% del total de los medios analizados. Creció en 2006 un 4,4%, colocándose en una inversión de 636,7 millones de euros frente a los 609,9 millones de un año antes.”
Insomma 637 milioni di euro in valore assoluto. Secondo UPA il valore assoluto in Italia è di 567 milioni di spesa pubblicitaria radiofonica. Davvero marcata, troppo marcata, è la differenza relativa agli altri mezzi. Se la pubblicita’ radiofonica conta in Spagna per il 9% del totale degli investimenti, in Italia è a poco meno del 3% con una crescita annua di poco più del 2. Dati del 2006.
Cenerentola pubblicitaria la radio italiana lo è veramente. Ma i soldi non mancano, considerando la scarsa diversificazione dei programmi. Il problema è che fare radio in Italia costa poco, o meglio: gli editori non si impegnano mai troppo. La pubblicità sulle pompe di benzina è molto funzionale alla strategia di una rete radiofonica, il cui primo dovere è ricordare ai propri ascoltatori in movimento dove può essere ascoltata. Gli editori sono bravissimi a trasformare quello delle frequenze in un mercato delle vacche, ma evidentemente considerano disdicevole spendere due lire per far conoscere queste benedette frequenze. L’assenza di inventiva è anche molto funzionale a una strategia di raccolta che punta ai grandi spot degli inserzionisti su scala nazionale e tende a trascurare la pubblicità locale. Il sogno del network radiofonico pubblico e privato in Italia è l’isofrequenza per l’isomercato della pubblicità. Ogni parvenza di localismo viene rimossa, perché fare radio locale (e andare a caccia di pubblicità) costa fatica, inventiva e un po’ di soldini.
E’ un mercato povero? Si’, ma di intelligenza.
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