Per la seconda volta in meno di due settimane la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver inflitto una pena detentiva a un giornalista giudicato colpevole di violazione del diritto alla riservatezza.
Dopo il caso Belpietro, l’altro ieri la Corte si è pronunciata sulla condanna a 4 mesi di carcere (poi sospesa) di Antonio Ricci per aver trasmesso nel ’96 su Striscia la Notizia immagini "confidenziali" captate sulle frequenze Rai. Secondo i giudici di Strasburgo l’infrazione commessa doveva essere sanzionata, ma non con la prigione. I fatti risalgono al 1996, quando Ricci mandò in onda su Striscia la notizia le immagini di un fuori onda Rai. Un video che mostrava la conduttrice di L’altra edicola mentre scopriva che i suoi collaboratori non avevano chiesto a Vattimo una liberatoria per mandare in onda un litigio tra lui e Busi durante la registrazione della puntata. La conduttrice affermava inoltre di aver invitato Vattimo e Busi solo per farli litigare per fare audience. Per aver trasmesso il fuori onda Rai, Ricci fu poi condannato in tutti e tre i gradi di giudizio perché riconosciuto colpevole della violazione del’articolo 617 ‘quater’ del codice penale, quello che vieta l’intercettazione e la trasmissione di comunicazioni confidenziali. L’8 ottobre la Corte di Strasburgo ha stabilito che Ricci, come Belpietro, aveva in effetti infranto la legge, e quindi andava condannato, ma non a una pena detentiva, anche se poi sospesa. Secondo i giudici l’Italia violò quindi il diritto di Ricci alla libertà di espressione, perché, condannandolo alla prigione, gli inflisse una pena non proporzionata. La Corte ha ritenuto che l’infrazione commessa da Ricci non presentava nessuna delle circostanze eccezionali che avrebbero giustificato il ricorso a una pena detentiva. La Corte non ha però riconosciuto alcun risarcimento a Ricci, che aveva chiesto 50 mila euro. (M.L. per NL)