Anche se va dichiarata in parte illegittima la distruzione della documentazione illegale. Se è vero che va dichiarata in parte illegittima la norma che impone la distruzione dei documenti e delle intercettazioni ritenute illegali, è anche vero che nelle condizioni attuali “normative e organizzative” non è garantita “un’adeguata tenuta della segretezza degli atti custoditi negli uffici giudiziari, come purtroppo dimostrano le frequenti fughe di notizie e documenti”. Salomonica la Corte costituzionale con la sentenza 173 depositata oggi, dopo che il 22 aprile scorso era stato dato l’annuncio dell’illegittimità di alcuni punti della legge. Fa pensare, anche se forse è solo una coincidenza, che le motivazioni siano state depositate a poche ore dall’approvazione alla Camera delle nuove norme, molto contestate, sulle intercettazioni. Le norme in vigore, varate dal governo Prodi nel 2006, seguivano lo scandalo coinvolse, tra gli altri, l’ex capo della security di Telecom, Giuliano Tavaroli. I giudici della Consulta osservano che “la normativa oggetto della presente questione – è stata approvata per porre rimedio a un dilagante e preoccupante fenomeno della violazione di riservatezza che deriva dalla incontrollata diffusione mediatica di dati e informazioni personali, sia provenienti da attività di raccolta e intercettazione legalmente autorizzate, sia effettuate al di fuori dell’esercizio di ogni legittimo potere da pubblici ufficiali o da privati mossi da finalità diverse, che comunque non giustificano l’intrusione nella vita privata delle persone”. La sentenza, scritta dal giudice Gaetano Silvestri, ripercorre i punti della norma parzialmente ‘bocciata’ osservando che “la finalità di assicurare il diritto inviolabile alla riservatezza della corrispondenza e di ogni altro mezzo di comunicazione cui deve aggiungersi uguale diritto fondamentale riguardante la vita privata dei cittadini nei suoi molteplici aspetti, non giustifichi una eccessiva compressione dei diritti di difesa e di azione e del principio del giusto processo”. Ma “la pressante esigenza di dare al diritto fondamentale alla riservatezza una tutela più intensa, rispetto a quella, rivelatasi insufficiente, del recente passato induce a ritenere non irragionevoli particolari modalità di trattamento del materiale probatorio, che riescano a contemperare tutti i diritti e principi fondamentali coinvolti in questa delicata Materia”. Certo non spetta alla Corte Costituzionale, “ma al legislatore – si legge ancora nella sentenza – individuare possibili soluzioni nell’ambito della disciplina del processo penale”. Il riequilibrio raggiunto dalla sentenza, si osserva inoltre, non è l’unico possibile, è l’unico realizzabile “ma è l’unico realizzabile tenendo conto della legislazione data e dei limiti costituzionali di intervento del giudice delle leggi”. Comunque la Corte, come si sapeva dal 22 aprile scorso, ha accolto parzialmente la questione sollevata dal gip di Milano Giuseppe Gennari nell’ambito del procedimento che vede imputati, tra gli altri, l’ex capo della Security di Telecom Italia, Giuliano Tavaroli. La norma bocciata riguarda la nuova formulazione dell’art. 240 del codice di procedura penale modificato dal decreto, poi convertito in legge nel novembre del 2006 con voto bipartisan, con cui il governo Prodi intervenne all’indomani dell’arresto, tra gli altri, di Giuliano Tavaroli, ex capo della security di Telecom, dell’investigatore privato Emanuele Cipriani e dell’ex capo della sicurezza informatica Fabio Ghioni. La norma imponeva la distruzione di tutto il materiale illegalmente acquisito (comunicazione telefoniche, telematiche, etc) in un’udienza camerale celebrata dal gip che però avrebbe dovuto redigere un verbale riassuntivo di quanto distrutto. La Consulta ha dunque dichiarato l’illegittimità dell’articolo 240 del codice di procedura penale in due punti: i commi 4 e 5, nella parte in cui non prevedono l’applicazione delle stesse regole fissate per l’incidente probatorio (art.401,commi 1 e 2) durante l’udienza per la distruzione dei documenti; il comma 6, "nella parte in cui non dice che il divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti nella redazione del verbale" di distruzione "non si estende alle circostanze inerenti la formazione, l’acquisizione e la raccolta degli stessi documenti, supporti e atti". (www.altalex.it)