Il Coronavirus non ci ha dimostrato solo quanto siano delicati gli equilibri sanitari, economici e sociali e quanto ormai il mondo sia, in tutti i sensi (comportamentali, culturali, alimentari, ecc.) un melting pot. Fin qui abbiamo erroneamente pensato che i rischi più grandi per la stabilità sociale venissero da fattori “interni”, quali quelli economici (egemonia dei pochi over the top), politico-religiosi (terrorismo) ed aggressione ambientale dell’uomo (innalzamento della temperatura). In realtà, il Coronavirus ha tradotto in realtà il fin qui solo teorizzato concetto delle pandemie di nuova generazione, verso le quali la responsabilità umana è ancora da dimostrare.
Ainformazione
Ma il virus che in un mese ha messo in ginocchio un’economia come quella cinese, candidata a dominare il mondo quantomeno sul piano produttivo cade anche in un altro momento delicatissimo: quello dell’informazione. E della disinformazione, anzi dell’antinformazione (o a-informazione).
Gran parte della psicosi che in queste ore si sta diffondendo in Italia a riguardo del Coronavirus è motivata da una ingestibile ridda di verità miscelate con ipotesi e fake news, col risultato che diventa difficile distinguere il vero dal falso o dal probabile, passando per il semivero ed il semifalso.
Andare oltre i titoli
In un presente in cui il lettore nel 30% dei casi non va oltre il titolo e l’occhiello e nel 75% non procede oltre il sommario, la catalizzazione dell’interesse con frasi ad effetto tipica dell’editoria online (portata all’eccesso da testate sensazionalistiche) favorisce la circolazione di news che in origine non sono fake, ma diventano tali nei passaggi successivi, soprattutto attraverso social, dove la fonte si snatura nei vari commenti raccogliendo progressivamente nuovi elementi spesso privi di fondamenti scientifici.
Ragioniamo con logica
E’, per esempio, il caso della pretesa origine militare di un virus che a Wuhan ha una mortalità del 2,5% e nel resto del mondo è a 0,5 per mille (il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom, ha scritto su Twitter che nell’80 per cento dei casi il contagio da Coronavirus è lieve, nel 20% critico; nel 2% dei casi riportati, «il virus è fatale»). Ipotesi certamente suggestiva, ma che si scontra con la logica di un fallimento di un’arma biologica che nella stragrande parte dei casi determinerebbe sui soldati effetti simili ad un’influenza.
I giornalisti e comunque gli operatori dell’informazione hanno in questa sciagurata emergenza un ruolo importante: quello di condurre gli aggiornamenti lungo i corretti binari, senza farli deragliare nella palude del faking.